La disforia? È "ideologica". Campagne gender spinte e corsa al cambio sesso (ma sui farmaci si sa poco)

Narrazione Lgbt e modelli "fluidi": quadruplicate le richieste degli adolescenti. Medici divisi sul disturbo di identità, i dubbi di Aifa sulle terapie ormonali. Si rischia il modello Usa: interventi senza iter psichiatrico

La disforia? È "ideologica". Campagne gender spinte e corsa al cambio sesso (ma sui farmaci si sa poco)

La premessa è d'obbligo: prima ancora che una questione politica, il tema della disforia di genere è una questione medica. E i punti critici (scientifici) da chiarire sono talmente tanti che è quasi prematuro chiedersi se sia etico o no far cambiare sesso ai nostri adolescenti come se stessero andando a farsi un tatuaggio. Se non altro, prima bisogna capire se la loro salute (fisica e psicologica) è al sicuro.

Il farmaco per bloccare la pubertà ha effetti collaterali? Non si sa. Il bombardamento di ormoni ha conseguenze sulla crescita, sulla fertilità, sullo sviluppo di tumori? Non si sa nemmeno questo. Come è possibile, allora, equiparare il cambio di genere a un mero intervento chirurgico estetico? Non tutti gli endocrinologi e i neuropsichiatri la pensano allo stesso modo, alcuni affrontano il tema «all'americana», con una certa leggerezza, altri frenano. Ma, ripetiamolo, non frenano per ideologie di bandiera. Lo fanno perchè mancano dati scientifici verificati.

LA «MALATTIA» COSTRUITA

Il battage Lgbt e la cultura woke ne hanno fatto una questione di diritti, di libertà. Ma il martellamento sulla fluidità e il cambio genere, cavalcato da gruppo Gedi e arcobaleni vari, non ha fatto altro che rendere tanti ragazzini più confusi e insicuri di quel che sono. In un'età in cui già è difficile capire cosa si desidera.

Tra bandiere e slogan, è stata costruita una disforia sociale, ideologica. E se da un lato questa campagna gender ha dato a molti pre adolescenti la forza di uscire allo scoperto, ne ha infarciti altrettanti di concetti indotti. Tanto che nel 2022, i casi di disforia di genere sono quadruplicati, il 367% in più rispetto all'anno precedente. Tra questi, anche tante storie di dolore, di tentati suicidi, di una sofferenza che ha coinvolto l'intera famiglia. Una stima esatta sul numero di ragazzi con disforia non c'è ancora, ma si sa che l'età in cui si manifesta è dagli 8 anni in su, quando si cambia idea quattro volte al mese e non si può avere una percezione del sè risolta.

Il pretesto è ideologico, il disagio però è reale: le richieste stanno aumentando ma i centri specializzati sono solo 5: Firenze (il Careggi), Trieste, Torino, Bologna, Napoli. E da pochissimo ha aperto anche il poliambulatorio multispecialistico del Gemelli, l'ospedale del Papa. Non certo per «dissuadere» i ragazzini, ma per dare supporto psicologico al loro disagio di identità, per capire se il loro desiderio nasce effettivamente da una disforia sessuale o fa parte di un quadro di insicurezze più esteso, più profondo. «Dobbiamo porci una domanda su tutte - sostiene Massimo Clerici - Vogliamo che lo Stato (non il Governo, lo Stato) promuova la cultura della libertà individuale sempre e comunque, anche in sanità, o faccia scelte ponderate decidendo delle linee di tendenza per tutelare i propri cittadini?». E qui la questione diventa etica. Non funzionale alla propaganda.

IL FARMACO BLOCCA-PUBERTÀ

Quando l'Aifa, l'agenzia del farmaco, ha autorizzato l'utilizzo della triptorelina (il farmaco blocca-pubertà) e l'ha inserita nell'elenco dei farmaci erogabili dal Sistema sanitario nazionale, ha specificato: «Non esistono studi di sicurezza e dati di follow up in grado di rassicurare sulla mancanza di effetti collaterali. I dati disponibili sono di tipo aneddotico, è impossibile un giudizio scientifico». Aneddotico. Basta? Eppure il protocollo del cambio di genere prevede 3,75 mg di triptorelina ogni 28 giorni fino ai 16 anni, e poi sdogana la vera e propria terapia ormonale cross-gender. A certificare il percorso è l'Osservatorio nazionale dell'identità di genere, associazione privata senza scopo di lucro.

Oggi per cominciare l'iter di transizione e arrivare all'intervento in sala operatoria, è necessario seguire un percorso psicologico di almeno sei mesi. È proprio questo il punto da chiarire nella vicenda dell'ospedale Careggi di Firenze, dove i medici sono stati accusati di somministrare i farmaci ai ragazzini senza il giusto supporto psicoterapeutico o psichiatrico.

Sul caso, sollevato in un'interrogazione di Maurizio Gasparri, capogruppo in Senato di Forza Italia, è intervenuta la Procura a indagare su presunte leggerezze. Che proprio non ci si può permettere su ragazzini di 10-15 anni. «Oltre ad avere poche informazioni scientifiche sui rischi del farmaco - spiega Massimo Clerici, vice presidente dell'associazione nazionale di psichiatria - è fondamentale tenere presente che la fascia di età dei bambini con disforia di genere è, per definizione, instabile. Sono confusi, sono in continuo cambiamento. Bisogna che uno specialista valuti con attenzione il singolo caso».

IL MODELLO USA

Ma anche su questo punto non mancano le battaglie: la disforia va considerata un disturbo mentale o va piuttosto «depatologizzata»? Le persone transgender si ribellano: «Non è una malattia». E anche una buona fetta degli psichiatri inizia a pensare che non sempre siano necessarie sedute con gli specialisti della salute mentale.

Cioè, mettono in dubbio il modello della diagnosi di disforia di genere. La tentazione è quella di seguire il modello del consenso informato, applicato in alcune parti degli Stati Uniti. Sarebbe a dire: niente psichiatra, solo un modulo scritto fitto fitto per informare su conseguenze, possibili effetti collaterali eccetera.

Non sarebbe proprio un «ormoni su richiesta» perchè di mezzo ci sarebbero le visite specialistiche con l'endocrinologo, ma poco ci manca. Sarebbe infatti il medico, a sua discrezione, a valutare la necessità di un supporto psicologico.

Se mai il consenso informato, cioè il via libera facile all'intervento, dovesse arrivare in Italia, allora si aprirebbe un nuovo fronte di problemi: gli psichiatri temono che le persone interessate alla transizione, pur di accedere alle certificazioni siano indotte a non riferire questioni di salute rilevanti. E ribadiscono alla politica di piazza: stiamo parlando di fragilità, di salute, non di consenso elettorale.

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