Un semplice confronto sul salario minimo è diventato l'occasione per stuzzicare Giuseppe Conte sul rapporto tra il M5S e il Pd, proprio nel giorno in cui i pentastellati hanno annunciato la mozione di sfiducia nei confronti del ministro Daniela Santanchè. Alla buvette di Montecitorio, mentre l'ex premier sta consumando un aperitivo, il renziano Luigi Marattin ne approfitta per ribadire le sue perplessità sul salario minimo. «La soglia fissata è troppo alta perché è pari al 75% del salario medio, mentre gli standard internazionali sono al 60%. Se è troppo alto, si crea più disoccupazione», dice il deputato di Italia Viva. Conte, invece, resta sulle sue posizioni che, poi, sono le stesse a cui sono pervenute anche le altre forze di centrosinistra, ad eccezione di Italia Viva. E proprio questo accordo è il pretesto che fa dire a Marattin: «Ormai col Pd la pensate allo stesso modo su tutto. I dem sono venuti sulle vostre posizioni anche sull'ambiente. Basta che tu cambi idea sulla guerra ed è fatta». A quel punto Conte dice: «Le cose che ci dividono dal Pd sono tante, ma me le tengo per me». Una frase alquanto rivelatrice delle difficoltà che, puntualmente, Pd e Cinquestelle si trovano ad affrontare ogni volta che tentano di costruire un'alleanza, anche dopo la consacrazione della Schlein alla guida dei democratici.
Punzecchiato dal Giornale a parlare di giustizia, dove le divergenze sono tante, il leader del M5S tace, ma poi si lascia andare: «Sulla sicurezza, che è un concetto di destra, noi la pensiamo diversamente». Conte, poi, ci tiene a ribadire un'ulteriore differenza: «Il Pd è un partito, noi siamo un Movimento». Marattin, allora, gli ricorda le sue due esperienze da presidente del Consiglio per fargli presente che il suo passato è quello di un uomo delle istituzioni e, quindi, di uno che ha fatto parte dell'establishment. Una descrizione da cui Conte prende subito le distanze: «Sono stato il presidente del Consiglio più antisistema di tutti. Avevo contro De Benedetti e Cassese». Vero, ma forse dimentica il sostegno dell'allora presidente Trump che, dopo la nascita del governo giallorosso, si congratulò subito via Twitter per la riconferma dell'amico Giuseppi. Marattin, poi, provoca ulteriormente Conte dicendo: «Tu saresti benissimo alla Leopolda, ma poi ti sei trovato in mezzo a questi qua». Il leader dei Cinquestelle, però, non casca nel tranello e passa al contrattacco: «Io avrei detto a Renzi di dimettersi e di lasciare la politica». Il deputato di Italia Viva, però, difende immediatamente il suo leader: «Renzi è il più intelligente di tutti».
«Sì, ma è l'ego che lo frega e l'ego quando è usato per il male diventa idolatria», chiosa Conte, ancora furente per come il leader di Italia Viva abbia fatto cadere il suo governo, favorendo così l'arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi. «La verità è che lui è caduto perché non riusciva a fare il Pnrr», sussurra Marattin.
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