La disuguaglianza italiana spiegata (anche) dalla casa

L'aumento dei prezzi degli immobili oltre l'inflazione pesa molto: è la nuova sfida del capitalismo

La disuguaglianza italiana spiegata (anche) dalla casa

Prima era la sfida del libero mercato, più o meno regolamentato, contro l'economia pianificata e statalizzata. Oggi la sfida è tutta interna al capitalismo, alla ricerca dell'armonia sociale tra i ceti produttivi e coloro che arrancano nell'ultimo vagone. In termini globali, il capitalismo ha fatto del gran bene all'umanità. Le persone in povertà assoluta, quasi la totalità degli abitanti del pianeta all'inizio dell'800, da quel momento sono diminuite in percentuale, su una popolazione crescente grazie proprio alla minore indigenza, e poi dal 1970 anche in numero assoluto, fino a quando due anni fa i grillini hanno definitivamente sconfitto la povertà.

In questo secolo, anche la distribuzione della ricchezza tra i vari paesi ha mostrato segni di riequilibrio. Nel 2000, i paesi ricchi lasciavano agli altri appena il 20% della ricchezza, ripartito tra paesi a medio reddito (14%) e quelli a basso reddito. Quindici anni dopo, complice anche la bolla finanziaria del 2007, la quota dei paesi a medio reddito era arrivata al 22% e quelli a basso reddito erano saliti al 7%.

Tuttavia, quanto una nazione sia più o meno ricca di altre rimane un indice intangibile. Molto più importante osservare la distribuzione della ricchezza all'interno del singolo Paese: il coefficiente di Gini mostra valori diversi, frutto della maggiore o minore regolamentazione e del grado di welfare delle rispettive economie. Tra i paesi ricchi, l'Italia vanta uno dei coefficienti di distribuzione della ricchezza più equo, insieme alla Spagna e al Giappone; più di Francia, Germania e Regno Unito; molto più di Svezia e Stati Uniti. Però parliamo ancora di una classifica di cui ai cittadini importa poco, poiché le persone vivono e si percepiscono dentro i singoli stati. Quando la vita si complica, perché il cambiamento tecnologico, la competizione internazionale e magari una forte crisi 2007/8 spazzano via gli equilibri, chi sta peggio controlla due cose: se nel recente passato stava meglio o peggio e se coloro che lo circondano se la passano meglio o peggio, ovvero se la distribuzione della ricchezza sia cambiata verso una minore o maggiore equità. Ora, dall'inizio del secolo i popoli di molti Paesi Ocse l'hanno vista diminuire, pur con delle eccezioni anche significative, quali Regno Unito e Corea del Sud. L'Italia è peggiorata, vedendo aumentare di due punti percentuali questo coefficiente, arrivato nel 2017 a 0,58.

Secondo uno studio McKinsey, una società di consulenza, una delle cause che a livello europeo e globale hanno intaccato il patrimonio è stata la combinazione della stagnazione dei salari e l'aumento dei prezzi delle abitazioni ben oltre il livello medio di inflazione. Si tratta di quasi un quarto della spesa delle famiglie, in assoluto la voce maggiore, quanto alimentazione e trasporti messi insieme. Dal 2002 al 2017, nell'Ue i prezzi delle abitazioni sono aumentati più velocemente dell'inflazione generale, in media di 22 punti percentuali. È vero che sono crollati i prezzi di abbigliamento, arredamento e tempo libero, il 20% della spesa, ma questo non bilancia la casa, che non è rinunciabile, né comprimibile e nemmeno diluibile: il suo impatto è stato tremendo.

È la stessa dinamica riscontrata negli Usa, dove inoltre i prezzi nella sanità sono cresciuti ancora di più. Eppure, gli italiani che affermano che «la situazione finanziaria del cittadino medio sia peggiorata rispetto a 20 anni fa» sono il 72% contro il 45% degli americani, nonostante per questi il coefficiente di Gini sia aumentato di 5 punti, a 0,81 contro 0,58 dell'Italia. Il fatto è che è cambiato il reddito disponibile. I lavori mediamente retribuiti sono diminuiti, a favore dei posti pagati molto o molto poco, ossia quelle retribuzioni che non bastano a coprire tutte le spese né a contribuire alla pensione. È accaduto in tutti i Paesi ricchi, ma non nella stessa misura.

Se in Italia i lavoratori con retribuzioni medie sono diminuiti circa dell'11%, in America il calo è stato del 7%.

Populismi vari e rigurgiti di comunismo hanno tante cause, ma i soldi, il benessere e le prospettive che il sistema riesce a offrire incidono e tanto. È questa la sfida del capitalismo e non è facile.

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