Sull'Ucraina stanno su fronti opposti (chi con il sanguinario dittatore Putin, chi con Zelensky e le democrazie occidentali), sul Mes anche (Conte, che pure lo ha firmato da premier in Europa, ora non vuole ratificarlo, come la destra), persino sulle poltrone Rai si fanno gli sgambetti.
Ma ieri, finalmente, il «campo largo» - reduce dalla batosta del Molise - pare aver trovato almeno un terreno di intesa. O quasi, perché Italia Viva di Matteo Renzi si è subito tirata fuori. Quale? I 9 euro orari del salario minimo: dopo mesi di frenetiche trattative, svolte in gran segretezza perché si temevano destabilizzanti fughe di notizie (e ci si fidava assai poco degli interlocutori), ieri le opposizioni hanno annunciato trionfalmente l'accordo su una proposta di legge per introdurlo. Certo, ora si tratterà di trovare i voti per farla approvare in Parlamento (e per aggirare i dubbi dei sindacati in materia), ma intanto si celebra il primo accordo di merito che, in nove mesi di governo Meloni, il centrosinistra è riuscito a raggiungere. Firmato da Pd, M5s, Azione, rossoverdi e +Europa. «Un segnale molto forte che incrocia i bisogni degli italiani», e anche «delle italiane», celebra Elly Schlein. «Finalmente inizia a prendere forma una convergenza alternativa alle destre», chiosa Marco Sarracino. Peccato che, in verità, la «convergenza» sia assai precaria. Matteo Renzi si sfila per scelta politica: «Il fatto di essere all'opposizione non significa essere in una coalizione alternativa». Col cosiddetto «campo largo» a trazione grillo-sinistra dem, i renziani non ci vogliono stare. Il perché è presto detto: da buon tattico, Renzi sa che l'afflato unitario sul salario minimo è destinato a durare poco: «Campo largo? Sono ben contento di lasciarci Fratoianni e Calenda», dice con i suoi. Tanto, di qui alle elezioni europee, nessuna intesa è destinata a reggere. E si vede dall'immediato litigio tra Magi (+Europa) e Calenda, accusato dal radicale di essere «uno che da bimbo giocava con l'Ego» per aver bruciato il comunicato unitario annunciando per primo l'accordo.
Schlein parla di alleanza coi 5S per un unica ragione: rubare quanti più elettori possibile a Conte. «È l'unico bacino elettorale in cui può pescare qualcosa, di qui al 2024: la crisi verticale di Conte le regala un po' di fiato», ragiona un big della minoranza Pd. Nei sondaggi, il Pd continua a galleggiare senza slancio attorno al 20%: ai fini del futuro governo ci si fa poco, ma può consentire al Pd di affermarsi come primo partito dell'opposizione nel proporzionale europeo.
Di mezzo, però, c'è un problema grande come una casa: nel 2024 si vota anche per il governatore in 5 regioni, per il sindaco in 5 capoluoghi (da Firenze a Bari a Perugia) e decine di comuni e in una ventina di province. Ma le alleanze, necessarie per provare a vincere in qualche regione o comune, sono incompatibili con la contesa per le europee.
«Se il centrodestra si sentirà abbastanza forte nei sondaggi - dice il dem lucano Salvatore Margiotta (la Basilicata è una delle regioni che voteranno) - proporrà l'election day, e tenterà di fare cappotto approfittando delle nostre contraddizioni. E noi che faremo?».
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