Il Doge che governa la Regione da 14 anni pronto a far pesare i suoi due milioni di voti

Nel 2020 ha battuto ogni record col 76,8% di preferenze. Moderato ma deciso, è uno dei papabili per il dopo Salvini

Il Doge che governa la Regione da 14 anni pronto a far pesare i suoi due milioni di voti
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Cameriere, muratore, insegnante di chimica, operaio, pr in discoteca. Infine, Doge. Così viene chiamato Luca Zaia dai suoi elettori, ma anche dagli osservatori della politica. Che non possono fare a meno di notare il lungo filotto di vittorie in Veneto. Nel 2010, l'allora ministro uscente delle Politiche Agricole, al debutto alle elezioni regionali, si impose con più del 60% dei voti. Candidato presidente più votato in Italia. Bis nel 2015, anche se con un margine risicato. In ogni caso, Zaia vince di nuovo: 50,08% dei voti. L'uomo che vuole il quarto mandato e fa fibrillare il centrodestra, nel 2020 polverizza ogni record. Rivince in Veneto con il 76,8% dei consensi. Ma quello che più impressiona - e che dà le proporzioni dello strapotere del Doge nella «sua» Regione - è il dato della lista civica «Zaia Presidente». Ebbene, la formazione del presidente ottiene il 44,6% dei voti, staccando la Lega ferma al 16,9%. Con Fratelli d'Italia sotto il 10% e Forza Italia sotto il 4%. Risultati che ne hanno fatto il governatore più votato nella storia d'Italia. Nessun presidente di regione, infatti, aveva mai superato il 70%. Il peso delle parole di Zaia, che ha minacciato di correre da solo in Veneto al prossimo giro, dunque è dato tutto dai numeri. Circa due milioni di voti che ne fanno il dominus di una delle regioni più importanti, con un'influenza non indifferente anche tra i parlamentari veneti leghisti a Roma.

Moderato ma deciso, «furbo» come lo definì Carlo Calenda. Zaia si presenta come l'uomo del fare, il pragmatico che si sporca le mani, e non ha disdegnato di farsi riprendere alla guida di un trattore. Maniche rimboccate e autonomia. Da Roma, che è una delle battaglie del governatore, che ancora, a ogni piè sospinto, ricorda a tutti le percentuali bulgare di partecipazione raggiunte dal referendum del 2017. Ma Zaia, il Doge, è autonomo anche dalla Lega di Matteo Salvini. Così come è stato autonomo nella gestione della pandemia da Covid, adottando un protocollo più stringente delle altre regioni sui tamponi, con l'obiettivo di isolare gli asintomatici. Di tanto in tanto viene evocato come il papabile successore del vicepremier alla guida del Carroccio, ma lui si schermisce: «Ora penso al Veneto». Alti e bassi hanno contraddistinto il rapporto con il segretario. Zaia ci tiene a rappresentare l'area «nordista» del partito e ha marcato i distinguo su alcuni temi, come ad esempio i diritti civili. Eppure, il Doge non ha mai rotto con il Capitano Salvini. Roma si accontenta di guardarla da lontano, con il distacco «local» di chi vuole apparire sempre con i piedi ben piantati per terra. In Veneto, appunto. Dove Zaia, forte dei suoi quasi due milioni di voti conquistati nel 2020, vuole tornare a vincere. Anche a costo di spaccare il centrodestra.

L'obiettivo principale è tornare a essere il Doge. Non il ministro o il leader della Lega. Da Venezia ha spiegato che la sua priorità è il Veneto. Prima della Lega e del centrodestra. «Veneto first», la filosofia. «Prima i veneti», insomma.

Nonostante Zaia sia spesso ritratto come il volto più moderato della Lega, sulla Regione ha deciso di ingaggiare un braccio di ferro potenzialmente thrilling. In grado di far alzare a dismisura la tensione con gli alleati di Fratelli d'Italia e Forza Italia. Operaio, muratore, pr, presidente della Provincia di Treviso, ministro dell'Agricoltura. Ma, più di tutto, Doge.

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