La domenica porta tempesta. Sul cielo di Varese, la sua città. Ma anche sulla sua testa, ormai bersaglio fisso di molti programmi e inchieste. Questa volta sono Report e Il Fatto a raccontare un intreccio che si annuncia vischioso: quello fra la Regione e la Dama, la società del cognato. «Sono stufo - si sfoga il governatore - di dovermi difendere da accuse inconsistenti. Peggio, frutto di menzogne».
Adesso la tirano in ballo per il mezzo affare fatto dal fratello di sua moglie con il Pirellone.
«Mezzo affare? Per quello che so, perché certo non ho seguito quella vicenda, quella era una donazione e mio cognato ci ha rimesso. Ma cercano sempre una sfumatura negativa, una zona d'ombra nella gestione della giunta Fontana, qualche colpa da scontare».
Sua moglie ha il 10% delle quote di Dama?
«Roberta ha una piccola quota e nessun potere decisionale. Ma veniamo dipinti come una congrega di affaristi senza scrupoli. Io non amo la pubblicità, ma mio cognato Andrea ha bonificato più di 60mila euro sul conto del Covid e ha donato a comuni e soggetti vari mascherine e dispositivi di protezione».
Il bilancio di questa stagione resta drammatico: migliaia e migliaia di morti.
«Avremo fatto i nostri errori, ma non possono incolparmi di quel che non ho commesso. E invece la sinistra e i suoi alleati montano ad ogni occasione un processo sommario contro il sottoscritto».
Nelle Rsa non c'è stata di fatto un'ecatombe?
«C'è stata purtroppo nelle Rsa di mezzo mondo, ma questo non interessa. Invece è partita una campagna contro di me, a partire dai poveri defunti del Pio Albergo Trivulzio, per l'atto in cui chiedevo alle Rsa di accogliere, in spazi separati, i malati di Covid che gli ospedali non sapevano più dove mettere. Si dimenticano di dire che solo 18 strutture su 708 avevano risposto affermativamente e che fra queste non c'era la pietra dello scandalo, la Baggina».
Sulla zona rossa della Val Seriana la procura di Bergamo le ha dato ragione: la mossa spettava a Roma. Questo la consola?
«La verità prima o poi emerge. Basterebbe un pò di buonsenso per capire: un presidente di Regione può mandare la polizia o l'esercito a chiudere alcuni paesi? L'iniziativa spettava a Roma».
Dicono che lei fosse molto sensibile alle preoccupazioni degli imprenditori, contrari alla chiusura.
«Anche questo è falso e va contro le evidenze. Io ero favorevolissimo all'istituzione della zona rossa e il giorno prima avevo mandato a quel paese il premier; dunque perché mai i capitani d'industria avrebbero dovuto mettere in mezzo il sottoscritto, in rotta di collisione con Conte, e non qualche politico di spicco bergamasco, vicino al governo e alla maggioranza?».
Le leggi però sono controverse. Si poteva fare di più?
«Questa è una storia di dolore che ci sovrasta e ci sgomenta. Tanto dolore. Troppo dolore. Un orizzonte senza fine di lutti. Ma ancora una volta si mistifica. L'articolo 117, lettera q, della Costituzione parla chiaro: le pandemie sono di competenza esclusiva di Roma. Avrei potuto farmi da parte, ma sarebbe stato un atteggiamento cinico, non avrei più dormito la notte per il rimorso, invece ho cercato di fare la mia parte con umiltà e sofferenza. È stato un momento difficilissimo. I malati. I morti. Le terapie intensive a un passo dal collasso. Le mascherine introvabili.
Per questo mi commuove la vicinanza della gente di Codogno che ho registrato il 2 giugno scorso, in occasione della visita del presidente Mattarella. Questo affetto mi ripaga dalle troppe calunnie dei tanti che in questi mesi hanno provato a lapidarmi».
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