Dottor Doris, ma è vero che Silvio Berlusconi ama poco i numeri?
«C'è solo un numero che gli interessa, il numero uno. Primeggiare, vincere. Lo conosco da una vita, mi considero un suo fratello, ma Silvio è inimitabile, lo capii fin dal nostro primo incontro».
Ecco, riavvolgiamo il nastro fino all'inizio degli anni '80, quando lei è il Numero 1 dei broker Dival, gruppo Ras, l'uomo capace di guadagnare 100 milioni di vecchie lire al mese, ma che sente un po' stretta quella camicia. Vuol fare altro, crescere, mettere sotto lo stesso ombrello una banca, un'assicurazione e una finanziaria. Come nacque quell'idea?
«Dall'incontro con un falegname: mi mise in mano 10 milioni e mi disse di investirli bene, così da permettergli il lusso di ammalarsi. Fu un fulmine a ciel sereno: dovevo diventare il medico del risparmio, un consulente globale. Bisognava però abbattere i muri che allora separavano i vari settori e, soprattutto, trovare un imprenditore di prima generazione capace di cogliere da quale parte soffiava il vento».
Silvio Berlusconi: primo vis-à-vis in quel di Portofino dopo che aveva letto una sua intervista a Capital. Dica la verità: incontro casuale non fu, lo marcava stretto...
«Casualissimo, mi creda. Primavera '81, Piazzetta di Portofino, sciame di invitati a un matrimonio. Mi giro, e dico a mia moglie: Ma quello è Berlusconi!. Indossa un vestito grigio, elegantissimo, credo sia uno degli ospiti delle nozze. Mi sente, si gira verso di me e io mi butto: Piacere, Ennio Doris. Abbiamo scambiato qualche parola, gli ho accennato del mio progetto, poi Silvio è andato a parlare con un pescatore che aggiustava le reti. Ci siamo incrociati dopo qualche minuto, e per convincerlo gli ho parlato di come l'idea di Programma Italia poteva essere una leva per il settore immobiliare. Ma non volevo sembrare troppo insistente: così non gli ho lasciato né un biglietto, né un numero di telefono».
Cosa la colpì in quel primo incontro?
«Capii subito che Berlusconi era inimitabile: mi fece tre domande, e subito dopo sembrava che conoscesse il settore meglio di me».
Ma la cosa non finì lì...
«Mi chiamò chiedendomi quanto guadagnavo. Risposi che non volevo niente da lui: Facciamo 50 e 50 e rischiamo assieme».
La miglior risposta che potesse dare. Così il progetto della società multiprodotto cominciò a decollare diventando anche uno strumento per sostenere le tv.
«Vendevamo gli immobili targati Milano 2 e 3, quelli in Sardegna e piazzammo le quote per finanziare da Rusconi l'acquisizione di Rete 10. Ci volevano 100 miliardi: 50 li mise Silvio, gli altri i miei clienti che, quattro anni dopo, raddoppiarono il capitale investito non appena Berlusconi decise di acquistare le loro quote».
L'idea di avere tre tv nacque subito?
«Sì, Silvio era già convinto che per vincere la sfida servissero tre canali: uno per il pubblico maschile, uno per le donne e l'altro per le famiglie».
Poi arrivarono i primi problemi, con gli schermi oscurati in Piemonte, nel Lazio e nelle Marche.
«Una volta Silvio mi disse: Ennio, se non faccio il "giullare"coi politici dovrei passare l'80% del tempo a difendermi contro le leggi che vogliono farmi chiudere».
Chi voleva abbattere le tv del Biscione?
«Chi era contro la tv privata e non capiva che Berlusconi ha rotto un collo di bottiglia, quello che permetteva solo a 100 aziende di fare pubblicità con la Rai. Da 100, gli inserzionisti sono poi passati a 1.500, creando 1.400 miracoli economici e molti posti di lavoro».
Com'era il Berlusconi di quegli anni?
«Un vulcano. Organizzava centinaia di cene con imprenditori, non mangiava mai, viveva su un pullman attrezzato con ufficio e camera da letto. Sapeva che il primo impatto col cliente era fondamentale. Un vero maestro del complimento».
Gli anni '90 sono gli anni di Tangentopoli, della crisi economica e c'è chi dice che Enrico Cuccia, dominus di Mediobanca, fece di tutto per mettere i bastoni tra le ruote a Berlusconi.
«Non credo. Cuccia faceva il suo mestiere, ma era anche un uomo d'inizio '900: non capiva nulla di diritti d'autore. Chiedeva: Dove sono i capannoni e gli stabilimenti?"».
Fin dall'inizio, lei ha cercato di convincere Berlusconi a non scendere in campo: perché?
«Perché così ha complicato la vita delle sue aziende e rinunciato ad avere un patrimonio personale più alto».
Un errore, dunque?
«Dipende da cosa vuol fare una persona nella vita. Lui ha rivoluzionato tutto: tv, calcio, politica. Più meriti che sbagli».
Un Milan senza Berlusconi, che effetto le fa?
«È un effetto strano. Non conosco i motivi della cessione, ma so che Silvio ama il Milan così come tutto ciò che è italiano.
Dottor Doris, cosa farà Silvio Berlusconi dopo i suoi primi 80 anni?
«Grandi cose, ha un romanzo dentro ancora da scrivere».
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