L'Italia, al traino della Francia spalleggiata da Washington, non è più protagonista sul dossier libico, ma il presidente del Consiglio, Mario Draghi, vuole invertire la rotta.
Nell'incontro a Parigi, poco prima dell'inizio della conferenza sulla Libia, con il presidente Emmanuel Macron, il premier italiano ha sposato la linea francese condivisa dall'Onu facendo, però, capire che non siamo alleati di serie B che eseguono solo gli ordini. A tal punto che a breve verrà firmato da Francia e Italia il trattato del Quirinale sul rapporto fra i due paesi non sempre sereni.
Non è un caso che la prossima conferenza sulla Libia, nella primavera del 2022, si terrà a Roma con i nuovi leader del paese scelti dal voto previsto il 24 dicembre per presidente e parlamento o per rimettere assieme i cocci se dovesse slittare o saltare a raffiche di mitra. Draghi ha concordato con il presidente francese la linea avallata dall'Onu di fare di tutto per tenere le elezioni a fine anno in occasione della simbolica data dei 70 anni dell'indipendenza libica.
I Fratelli musulmani, legati ad Ankara, remano contro con Khalid al-Mishri, presidente dell'alto Consiglio di stato, una specie di ramo parlamentare a Tripoli. Il politico di origine turca agita lo spauracchio di una nuova fiammata di guerra civile temendo che alle presidenziali possa vincere l'uomo forte, un po' appannato, della Cirenaica e acerrimo nemico, Khalifa Haftar. Oppure Seif el Islam, il figlio intelligente del colonnello Gheddafi, che vuole candidarsi, ma è ostacolato da mandati di cattura molto politici per crimini di guerra.
Al-Mishri è corso ad incontrare il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, 48 ore prima della conferenza, che ha rifiutato di recarsi a Parigi. E non ha inviato neppure il ministro degli Esteri.
Draghi, Macron e la Germania non solo puntano alle elezioni il 24 dicembre, ma chiedono con forza che tornino a casa i mercenari stranieri. Haftar ha proposto il rimpatrio di 300 russi a patto che dall'altra parte della barricata vengano ritirati i giannizzeri siriani ancora nelle caserme di Tripoli. I consiglieri militari di Erdogan in Libia fanno orecchie di mercante.
Draghi ha insistito con Macron su un maggiore coinvolgimento dell'Unione europea rispolverando un piano, che in caso di reale pacificazione con un voto più o meno regolare, prevede un intervento per arginare il flusso dei migranti verso l'Italia regolando il processo sul terreno. In pratica chi ha diritto all'asilo arriva in Europa attraverso i corridoi umanitari e gli altri vengono fatti tornare umanamente a casa.
Il premier italiano, ben informato dall'Eni, che non ha mai abbandonato la Libia, ha sottolineato anche l'importanza dell'unificazione dei gangli economici del paese spaccato in due dalla Banca centrale, alla Noc, la compagnia petrolifera di stato al Fondo sovrano di investimenti.
E sulla sicurezza ha garantito l'impegno per il reintegro dei miliziani delle varie fazioni nelle forze armate nazionali.
L'Italia è l'unico paese occidentale con una missione militare in Libia, testa di ponte per la pacificazione futura. Non solo: per le elezioni ci sarà bisogno di osservatori internazionali, accettati dai libici, come gli italiani.
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