Dossier in nero e 007. Il caso Report irrompe in Copasir e Vigilanza

Scontro su un possibile danno all'azienda. I commissari ascoltano il deputato Ruggieri

Dossier in nero e 007. Il caso Report irrompe in Copasir e Vigilanza

«È stato un trappolone dopo 17 anni di onorata carriera». Anziché cambiare più versioni che inquadrature, Sigfrido Ranucci dovrebbe avere l'onesta di ammettere quello che già disse Milena Gabanelli della storiaccia sul presunto video hard che avrebbe dovuto incastrare l'allora sindaco di Verona Flavio Tosi. Durante la puntata di Report del 7 aprile 2014 la Gabanelli con rammarico riconobbe quanto era costata cara alla trasmissione, in termini di reputazione, la spregiudicatezza del suo braccio destro dopo anni vissuti alla scrivania, all'ombra del grande capo.

Secondo la segnalazione che Ranucci s'era bevuto, la 'ndrangheta teneva sotto scacco il leghista grazie a un inesistente (ad oggi) video hard. Ranucci non aveva la malizia per capire che la mafia calabrese se li coccola i politici, non li ricatta. Il conduttore di Report non ci aveva capito nulla. Lo dice anche il giudice che l'ha assolto dall'accusa di dossieraggio, come riportano i documenti giudiziari che lo stesso vicedirettore Rai allega a un post su Facebook del 13 febbraio. E maldestramente lo conferma anche il suo avvocato, Luca Tirapelle commentando i video pubblicati dal Riformista: «In quell'incontro al ristorante con chi lo ha filmato a sua insaputa, Ranucci ha bluffato per verificare la esistenza o meno del video hard e quando ha assicurato di avere entrature nei Ros e persino nei servizi segreti».

Ma il sistema delle false fatture è fin troppo ben congegnato per essere il frutto di una millanteria buttata lì, a meno di non avere contemporaneamente il talento di Robert De Niro e l'arguzia di Albert Einstein. Se Ranucci pensava davvero di avere davanti due emissari potenzialmente vicini alla 'ndrangheta (che con certi servizi deviati ha un rapporto diciamo... particolare) doveva stare molto più attento. Oggi il legale ci dice che tutto è avvenuto a sua insaputa. Sarà. «Peraltro, se davvero sperava in una svolta nella sua fin lì quasi anonima carriera - fa notare un freelance che ha lavorato in Rai - Ranucci il video poteva pagarselo di persona e farsi restituire i soldi». Che l'uomo ogni tanto si faccia un po' prendere la mano si capisce leggendo i messaggi allusivi e minatori mandati lo scorso novembre ai parlamentari Davide Faraone (Italia viva) e Andrea Ruggieri (Forza Italia) dopo l'uscita del dossier (senza valore, secondo l'Audit) che ipotizza comportamenti sessuali disinvolti con consenzienti colleghe e il mobbing ai danni di una cronista, cacciata da Report dopo 22 anni.

Sarà il deputato azzurro a portare all'attenzione del Copasir, l'organismo che vigila sui servizi segreti, le scellerate frasi di Ranucci sui nostri 007, inopinatamente chiamati in causa perché a suo dire interessati da dossier anonimi. Intanto è braccio di ferro tra Viale Mazzini e la Vigilanza Rai, che ipotizza un possibile danno erariale ai danni della tv di Stato, su cui si potrebbe muovere anche il magistrato ad hoc della Corte dei Conti.

Secondo quanto trapela l'organismo avrebbe intenzione di chiamare in audizione il responsabile Ufficio Acquisti Rai. Obiettivo: passare al setaccio le fatture di Report. Su una cosa Ranucci ha ragione: i video non sono inediti, ne parlò Libero il 22 febbraio 2014. Ma nessuno sapeva chi fosse...

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