Cosi non va. Il dpcm del governo è stato scritto «alla cieca». Usa proprio questa espressione Antonella Viola. Attenzione: Viola non è una parlamentare dell'opposizione, ma è immunologa. Con tanto di cattedra all'università di Padova. E da scienziata riscrive a modo suo, in una conversazione con il Giornale, il dpcm. La studiosa mette sul banco degli imputati il sistema dei trasporti e l'università. «L'università mi preoccupa più della scuola - spiega Viola - perché gli studenti non solo studiano insieme, ma frequentano gli stessi locali, mangiano in gruppo e dormono negli stessi appartamenti». Insomma, si è persa un'estate inseguendo i banchi a rotelle e ci si è dimenticati di problemi ben più impegnativi.
Ma, forse, è nella premessa che Viola dà il contributo più importante al dibattito sulle misure da prendere in questa fase sempre più drammatica. «La cosa più sconvolgente - è il suo ragionamento - è che si chiudono bar, ristoranti e cinema senza valutare i numeri del contagio. E questo mi pare obiettivamente inaccettabile». Nella prima fase dell'epidemia non avevamo conoscenze sufficienti e approfondite per concentrare il fuoco in questa o quella direzione. Così le cifre dell'emergenza hanno fatto rotolare il Paese nel lockdown. Ma adesso la situazione è o dovrebbe essere diversa. «Da maggio a ottobre abbiamo immagazzinato una grande mole di dati che ci permettono di tracciare il contagio».
In poche parole, avremmo la possibilità di capire in modo quasi chirurgico dove mettere i lucchetti e far scendere le saracinesche. «Le scuole possono rimanere aperte? Può essere, ma preferirei parlare sulla base dei numeri e non sulle ali di qualche sensazione o suggestione pur fondata. Io per esempio sono convinta che cinema e teatri contribuiscano poco alla diffusione del virus. Ma se è vero quel che penso, allora perché non lasciare aperti gli spazi della cultura?».
Domande che scivolano via, senza una risposta chiara. Ma Viola non molla la presa: «Procediamo a tentoni, in modo irrazionale, senza un confronto adeguato. Ma quel patrimonio di conoscenza c'è, occorre utilizzarlo, come fanno all'estero, per orientare le nostre scelte e renderle selettive ed efficaci. In questo modo fra l'altro si provocano meno danni collaterali: si blocca solo quel che si deve bloccare e si convogliano le risorse finanziarie, che non sono infinite, verso le categorie effettivamente penalizzate».
Ma se si ferma tutto un po' e un po' di tutto non si porta l'Italia fuori dal pantano di questa crisi. Dunque, secondo Viola, i provvedimenti devono essere calibrati; oggi, dopo mesi di discussioni, siamo ancora in una fase artigianale della costruzione del nostro sistema di difesa.
In ogni caso, Viola affida a un post su Facebook il suo Dpcm. Punto primo: «Didattica in presenza nei primi tre anni delle superiori, con ingressi sfalsati. Nelle classi quarte e quinte, didattica a distanza al 75%». Ma occorre lavorare per riportare i ragazzi sui banchi e il solo modo per farlo è potenziare i mezzi pubblici, tallone d'Achille del sistema.
Punto secondo: «Identificare attraverso i dati di tracciamento i luoghi a maggior rischio di contagio».
Punto terzo: le limitazioni da subito. Dunque, «didattica a distanza in università, no a sport invernali e da contatto».
Infine, Viola pone una quarta questione: «Abbiamo sbagliato la comunicazione. Invece di invitare i ragazzi a non uscire, sarebbe bene rivolgersi agli anziani, suggerendo loro di rimanere in casa». Senza obblighi. «Ma gli italiani, davanti a un discorso ponderato e razionale, ci seguirebbero».
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