Il professor Alessandro Campi, noto politologo, non ha dubbi: la partita del Colle può decidere l'avvenire dei partiti e della democrazia rappresentativa. E potrebbe essere approvata è una "riforma surrettizia".
Professor Campi, il giro di boa del Quirinale rappresenta uno spartiacque: la politica può perdere o acquisire spazi rispetto al quadro istituzionale...
"Le riserve espresse in questi giorni verso Draghi sono state lette come una vendetta della politica. In realtà, da parte di quest’ultima si tratta del tentativo, forse tardivo, di riprendersi gli spazi di manovra e d'azione che ha perso strada facendo. Sembra una questione di basso interesse dei partiti, si tratta invece di problema di sistema. É in gioco quella bazzecola storica che definiamo “democrazia rappresentativa”. Non è solo il populismo che spinge per la disintermediazione, per un rapporto diretto, come si dice polemicamente, tra capo e popolo, saltando tutti i livelli intermedi. La cultura tecnocratica si muove nella stessa direzione, con la differenza che in questo capo il rapporto diretto è tra capo e burocrazia. La società – di cui i partiti sono pur sempre il principale canale politico d’espressione – rischia di diventare in questo modo sempre più marginale".
Uno schema con Draghi Pdr ed un tecnico a Chigi (si vocifera) significherebbe abdicare per la politica?
"É un'ipotesi molto gettonata in queste ore, ma con una leggerezza, politica e istituzionale, che trovo preoccupante. Quanto può durare il commissariamento tecnico-burocratico della politica prima che tutto si sfasci? Mi chiedo dove sono in queste ore tutti quei costituzionalisti che hanno battagliato per anni (prima contro Berlusconi, poi contro Renzi) per difendere la Costituzione "più bella del mondo". Sono diventato silenziosi proprio ora che, se non facciamo attenzione, si rischia di realizzare una riforma a dir poco surrettizia, anzi del tutto extra-legale, del nostro ordinamento costituzionale? Proviamo a immaginare: Draghi al Colle e magari la Belloni (l’attuale capo dei servizi segreti) a Palazzo Chigi. Già dare come plausibile (o come accettabile) un simile scenario, che a me sembra persino eversivo, dà l’idea della condizione di disperata impotenza politica nella quale ci troviamo".
L'offerta politica dei partiti è stata al ribasso?
"Il centrodestra in realtà le sue mosse le ha fatte e le sta facendo, brutte o belle che le si voglia giudicare. La candidatura di Berlusconi è stata irrituale, ma in linea col suo stile politico. Se in tutti questi anni i voti di Berlusconi sono serviti a tenere in piedi i più diversi governi (da Letta a Draghi) come si fa poi a consideralo indegno per il Colle. Questo deve aver pensato lui stesso al momento di proporsi. In realtà, la vera assenza di proposte è venuta dal centrosinistra allargato. Il M5S (che in Parlamento ha ancora il gruppo più consistente) si è limitato a caldeggiare una donna: evidentemente Conte sa di non poter vincolare i suoi parlamentari ad un nome, dal momento che non li controlla. Il Pd invece si è arroccato prima su Mattarella, poi su Draghi (come si vede anche in queste ore), senza immaginare alternative politiche credibili provenienti dal suo stesso campo. Letta si è dato una linea soprattutto negativa: al Colle va bene qualunque personalità purché non di centrodestra. Si è inventato una cosa che in politica, per fortuna, non esiste: il candidato super partes. Anche Letta sconta probabilmente un controllo lasco sui parlamentari del suo partito. Quest’assenza di proposte da parte del centrosinistra certo ha complicato la partita".
C'è un rischio dominio della tecnocrazia nel contesto esecutivo-istituzionale?
"É un trend storico-politico che va oltre la vicenda del nuovo Capo dello Stato. La pandemia – meglio, la sua gestione sul piano sanitario e sociale – ha fatto emergere su scala globale questa tensione tra sfera tecnico-scientifico e sfera politica. A chi spetta decidere? E sulla base di quali valutazioni? L’oggettività delle valutazioni tecniche è stata usata come un alibi dai politici costretti a prendere spesso decisioni impopolari come i lockdown o le altre limitazioni alle libertà personali. E questo ha ovviamente contribuito a mettere le classi politiche in una condizione di minorità. D’altro canto è vero che ci sono oggi problemi che richiedono, per essere affrontati, competenze specialistiche: pensiamo al tema ambientale o energetico. Ma il problema, da duemila anni, è sempre lo stesso. Caratteristico della politica è che essa non richiede una competenza tecnica specifica, pur dovendo appoggiarsi a quest’ultima per le sue valutazioni e decisioni; richiede una visione dell’interesse collettivo, capacità di sintesi, spirito di mediazione. Questa differenza si sta perdendo, tanto che oggi tra un consiglio dei ministri e un consiglio di amministrazione si pensa non ci sia più differenza".
É la politica che non ha più visione o la tecnocrazia che, per qualche verso, è riuscita ad imporsi?
"Se ci crea un vuoto qualcuno lo riempie. Potremmo anche dire che la tecnica ho occupato il vuoto che essa stessa ha contribuito strumentalmente a creare. L’universo politico da un lato si è delegittimato da solo con i suoi comportamenti spesso inadeguati, a partire dalla corruzione. Ma ricordiamo sempre – vista l’esperienza che ha fatto il nostro Paese – cosa è stata e come è nata l’onda di discredito culturale e sociale che ha investito la classe politica ad ogni livello. É stata la borghesia industriale e produttiva, con i suoi organi di stampa, a fomentare la febbre rivoluzionaria di Mani Pulite e a invocare – dopo il crollo del vecchio sistema dei partiti – l’arrivo dei tecnici al potere come panacea: Ciampi, Dini, Monti, Draghi (ma in questa linea anti-politica metterei anche il governo di Letta e quelli di Conte). Il risultato, dopo vent’anni, è quello che vediamo: Draghi è un capolinea, oltre il quale c’è solo la proclamazione formale di una "dittatura sovrana" alla maniera romana".
Quale futuro per i partiti politici? In caso di Presidente della Repubblica tecnico (e di Presidente del Consiglio tecnico a sua volta), emergerebbe anche la necessità di ripensare le formazioni politiche, non trova?
"I partiti non si creano a tavolino, magari grazie a qualche scissione parlamentare o attraverso assemblaggi meccanici. Nascono dalla fratture (e dunque dagli interessi) presenti nella società. Altrimenti sono soltanto delle sigle, delle pertinenze personali, dei comitati elettorali o peggio d’affari. Ciò detto, i partiti – quelli che ancora presentano un minimo di struttura organizzativa e con un po’ di storia politica alle spalle - debbono ovviamente provare a ripensarsi. Nel modo con cui comunicano e fanno propaganda (la rivoluzione digitale è un cambiamento irreversibile, certo non si può tornare ai comizi in piazza e alle riunioni serali nelle sedi).
Ma soprattutto nel modo con cui selezionano i loro gruppi dirigenti. Oggi abbiamo troppi avventizi e troppi avventurieri, che passano da una parte all’altra solo per convenienza. La vera sfida della democrazia italiana è questa".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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