«Mario? Where is Mario?». Insomma, dopo i trionfi internazionali, Mario potrebbe pure staccare un attimo, rilassarsi mezza giornata, farsi una birra a Glasgow. Invece all'ora di cena Draghi è già a Roma, pronto a rituffarsi nel caos politico italiano, ad affrontare con grinta un'altra settimana di governo piuttosto impegnativa: dalla legge sulla concorrenza alla manovra, dal Covid che rialza la testa allo spread in leggero aumento, per non parlare dei partiti che riprendono a litigare e dei giochetti di chi a febbraio lo vorrebbe spostare al Quirinale. Roba da farsi prendere dalla sindrome di Cincinnato, mollare Palazzo Chigi adesso che è all'apice, al punto più alto della parabola, e poi vedere, perché dopo una salita c'è sempre una discesa.
Ma il premier, almeno per il momento, non sembra interessato al trasloco, anzi: ha una missione da compiere e vuole completarla. Lo si capisce anche da quello che dice al Cop 26. «I soldi non sono un problema. Come ha spiegato Boris Johnson, parliamo di decine di trilioni di dollari, però dobbiamo utilizzarli e trovare il modo di spenderli, velocemente». Ecco, gli euro in arrivo in Italia con il Recovery Fund non sono trilioni, ma sono comunque tanti e pure noi abbiamo il problema di usarli. Il Pnrr è stato approvato da Bruxelles, ora va seguito, «messo a terra» come dicono gli specialisti, attuato. Molte riforme previste sono ancora da concludere e Draghi non è il tipo che lascia il lavoro a metà.
Così, sotto con l'agenda. In condizioni di normalità un governo come questo, che gode di ampio consenso popolare, guidato da una personalità che secondo l'enciclopedia Treccani è «l'uomo di Stato europeo più importante del decennio», dovrebbe avere una pianura davanti. In sostanza è così, la navigazione è spedita e non sono certo i mal di pancia de sindacati e le piazze dei no vax violenti a rallentarla. Però l'Italia non è un Paese normale. Passate le Amministrative, ora ad agitare le acque dei partiti sono le due prossime scadenze, la scelta del nuovo presidente della Repubblica e la riforma elettorale.
Le due questioni sono connesse e potrebbero toccare il governo. Il toto Colle è ripreso in grande stile nei giorni scorsi, con Conte e Salvini che hanno rifatto il nome di Draghi, l'ex premier come azione di disturbo, il leader del Carroccio perché forse punta di nuovo al voto anticipato. Anche se, ha precisato «lo scenario cambia ogni minuto».
In generale, chi vuole SuperMario al Quirinale vuole pure andare alle urne in fretta, perché è difficile immaginare che in questa legislatura si possa mettere in piedi un altro governo senza Draghi al timone. E poi, chi farebbe da scudo, chi garantirebbe l'Europa e i mercati? E il diretto interessato che ne pensa? E se anche fosse disponibile, quanti sarebbero i parlamentari pronti a votarlo e quindi a concludere l'esperienza politica, rinunciando allo scatto della pensione?
L'altra variabile è più impalpabile però ugualmente decisiva. Dopo tanti anni di bipolarismo spinto, il sistema proporzionale sta tornando di moda, con il suo corollario di rinascita di un centro organizzato e di maggioranze da costruire in Parlamento.
La corsa per il Quirinale potrebbe essere un banco di prova, visto che né il centrodestra né il centrosinistra più M5s sembrano avere i numeri per imporre un proprio presidente. Un accordo «largo» appare la strada obbligata. E Mario? Che resti a Palazzo Chigi un altro po'.
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