Due giornalisti italiani colpiti dai russi. "Vivi per miracolo, attacco intenzionale"

Claudio Locatelli e il fotografo Niccolò Celesti erano in una macchina con la scritta "Press" ben visibile. "Sparare sulla stampa non ha scuse"

Due giornalisti italiani colpiti dai russi. "Vivi per miracolo, attacco intenzionale"

«Ci hanno appena colpiti, niente di grave», racconta in un video Claudio Locatelli con il sangue che cola dietro l'orecchio destro. Il «giornalista combattente», come si definisce sulla sua pagina Facebook, l'ha scampata per miracolo a Kherson, la città del sud liberata dagli ucraini, ma sotto costante tiro di artiglieria dei russi dall'altra parte del fiume Dnipro. Al volante, il fotografo toscano, Niccolò Celesti: «Se avessero tirato la granata 20 secondi dopo (quando sarebbero scesi dall'auto, nda) saremmo tutti morti». Con loro c'era anche Daniel, un fixer e interprete.

Il drammatico video, girato all'inizio con le go-pro fisse, inquadra il volante mentre Celesti sta facendo manovra per parcheggiare. L'esplosione della granata, che alza un mortale fumo nero intriso di schegge, si vede e si sente bene, a pochi metri dal muso della macchina, che non è blindata. Il colpo riduce in frantumi i finestrini sul lato passeggero. Locatelli è seduto davanti, a fianco del guidatore, e si becca i frammenti di vetro dietro l'orecchio destro perdendo sangue, «ma in maniera lieve», assicura subito. Piccole schegge hanno sfondato la carrozzeria ad altezza d'uomo e per fortuna si sono fermate nell'intercapedine senza entrare nell'abitacolo. La granata era al massimo un colpo di mortaio di 60 millimetri, ma non si è sentito il sibilo in arrivo. Per questo potrebbe essere un calibro minore da 40 lanciata da un fuciliere, ma i russi sono dall'altra parte del fiume, oppure da 32 millimetri sganciata con un micidiale, piccolo e invisibile drone. Se fosse stato un colpo di mortaio di calibro più grosso o di artiglieria li avrebbe feriti gravemente o uccisi tutti.

«Siamo rimasti bloccati sotto tiro prima di riuscire a metterci in salvo - ha scritto Locatelli su Facebook - La macchina è ben segnalata, non c'era nessun altro, l'attacco ai nostri danni, visto luogo e dinamica è stato intenzionale. Sparare sulla stampa non ha scuse». I responsabili sono i russi. Talvolta le scritte Press sono controproducenti e attirano i colpi perché i giornalisti sono nel mirino. Nonostante i primi momenti concitati gli italiani hanno reagito con il necessario sangue freddo. «Vai vai, via, indietrohombre davanti sparano», si sente una voce, probabilmente dell'interprete. Dopo un attimo di incertezza il fotografo toscano segue le indicazioni e fa retromarcia, anche se uno o due pneumatici sono andati a causa delle schegge. Dopo un tratto a tutta velocità si fermano per cercare di rimettere in sesto le ruote e medicare il giornalista combattente, che ha un po' perso l'udito dall'orecchio. Purtroppo sono ancora nella «zona della morte» dell'artiglieria e si sentono le esplosioni di altre granate vicine, ma non troppo da investirli con le schegge. Locatelli in maniera melodrammatica dichiara: «Vedrete tutto questo se torniamo vivi». Per uscire dall'area di tiro devono percorrere spazi scoperti ed i video selfie rendono bene l'idea del pericolo. Fino ad un cavalcavia, che superano mettendosi in salvo.

Il giorno prima avevano filmato i resti del palazzo regionale centrato e distrutto dai missili russi. Il quartiere dove sono stati visti dai russi e colpiti è uno dei più martellati di Kherson. Nessun video, foto o articolo valgono la vita e forse talvolta per noi, giornalisti di guerra, sarebbe meglio fare un passo indietro. Locatelli ha imbracciato il fucile con i curdi nel nord Est della Siria contro il Califfato. Fegataccio, il freelance veneto è riuscito a trovare il modo di autofinanziarsi i reportage con le sue dirette in rete raccogliendo 91.700 euro. Il post sul video sotto tiro si conclude con le parole d'ordine «nessuna resa», che sollevano qualche critica su Facebook. In Ucraina troppi giornalisti sono stati uccisi e ogni volta è meglio chiedersi se ne vale la pena.

Non bisogna dimenticare mai che la vera storia di ogni guerra non siamo noi con la scritta Press, attirati dall'adrenalina della prima linea, ma i soldati che la combattono e soprattutto i civili, prime vittime di ogni conflitto.

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