Avevano lavorato fino a pochi giorni fa. Puntuali, ogni mattina, i due dipendenti delle Poste avevano varcato la soglia dei rispettivi uffici, in due diversi comuni bergamaschi. Sapevano perfettamente il rischio che correvano, ma per decreto il loro servizio era tra quelli «essenziali» da garantire alla cittadinanza. Ora il coronavirus se li è portati via.
Non si sa da chi siano stati contagiati e a quante persone abbiano trasmesso il virus. Ma è certo che si tratta di una morte annunciata e i due decessi potrebbero segnare un punto di svolta per i loro colleghi.
Governo e Poste italiane, infatti, ieri hanno iniziato a ragionare su una stretta all'apertura degli uffici. Ciò non significa che tireranno giù le saracinesche, ma che si valuta la possibilità di una riduzione dei giorni di apertura, garantendo comunque il servizio di pubblica utilità. Oltre alla necessità di garantire che i dipendenti impiegati operino in condizioni di massima sicurezza. «Dovrà essere comunque Del Fante a decidere», spiegano fonti di governo, sostenendo che l'ultima parola spetta all'ad di Poste.
I due luoghi di lavoro dove sono morti i dipendenti sono già stati sottoposti a sanificazione. Ma non basta. «Abbiamo speso fiumi di parole, scritto all'azienda, Ats, prefetture, sindaci, partiti politici e ora anche alle forze dell'ordine - tuona Marisa Adobati, segreteria della Slc-Cgil di Bergamo - abbiamo spiegato l'inutilità di esporre al contagio i lavoratori della bergamasca. Ma ci viene ripetuto in maniera assillante che Poste deve garantire i servizi essenziali. Il recapito di un bollettino di abbonamento a Frate indovino o della marea di avvisi di mancata consegna delle raccomandate non crediamo sia da considerarsi espletamento di servizi essenziali. Molte scadenze fiscali ed invii di notifica sono stati, tra l'altro, sospesi per decreto. Il punto è che, ormai, andare in Posta per molti è diventato il pretesto per fare una giustificata passeggiata in paese».
Eppure Bergamo e provincia hanno già pagato un prezzo di vite umane molto alto e da ieri sono occupati tutti gli 80 letti di terapia intensiva riservati ai pazienti ricoverati in gravi condizioni all'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Per i malati che avranno bisogno di ventilazione e ossigeno bisognerà far ricorso alla rete delle terapie intensive italiane. La distribuzione di dotazioni sanitarie resta scarsa negli uffici e tra i lavoratori c'è paura e rabbia.
In Basilicata i segretari di Slp Cisl Davide Barbera, Uilpost Uil Domenico Potenza e Slc Cgil Antonio Greco ieri hanno chiesto l'intervento delle forze di polizia per verificare il rispetto di tutte le ordinanze circa il motivo di stazionamento in prossimità degli uffici.
«Il sindacato non ha mai chiesto e non chiede la chiusura - è invece la posizione del segretario generale Slc Cgil, Fabrizio Solari - ma bisogna
mettere nelle condizioni di massima sicurezza i lavoratori». Maurtizio Landini, segretario generale della Cgil chiede infine che gli venga fatta una scelta mirata per individuare cosa è essenziale e cosa può essere rinviato.
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