Battaglia contro il governo di Mario Draghi sull'aumento delle spese militari, certo. Ma soprattutto guerriglia interna contro «le correnti», quelle sul modello dei «vecchi partiti». E, ovviamente, per Giuseppe Conte l'identikit della serpe in seno corrisponde a quello di Luigi Di Maio. Sono indirizzate al ministro di Pomigliano le bordate più dure nel video in cui Conte annunciava una nuova votazione - che si concluderà oggi alle 22 - sulla conferma della sua leadership impantanata nelle carte bollate. L'ex premier non lo nomina, ma sputa veleno contro il rivale. Mentre lui, Di Maio, preferisce non commentare e volare alto, occupandosi della crisi in Ucraina. «Un ministro degli Esteri durante una guerra non può rispondere a Conte», taglia corto un parlamentare fedelissimo dell'ex capo politico. Oltre che per il governo, il primo banco di prova interno sarà giovedì in Consiglio dei ministri sul Def, il documento di Economia e Finanza. Un testo che - nelle minacce di Conte - dovrebbe contenere un'indicazione chiara contro l'aumento delle spese per la difesa al 2% del Pil. «Altrimenti non lo votiamo», si irrigidisce Conte, in attesa di una resa dei conti tra sei mesi sulla manovra di bilancio. E la sfida è anche diretta verso Di Maio, che siederà nello stesso Cdm e ha già fatto sapere di volere onorare gli impegni presi con gli alleati della Nato.
Il messaggio arrivato ieri da ambienti contiani («Osserveremo con attenzione chi condivide il video di Conte, siamo stanchi delle spaccature») ha mandato in tilt molti parlamentari tra Camera e Senato. Soprattutto a Montecitorio, gli scettici e i dimaiani di stretta osservanza rappresentano una buona fetta del gruppo. Ma neppure a Palazzo Madama Conte può permettersi di annunciare purghe e repulisti: i contiani sono di più rispetto alla Camera, però comunque abbondano i critici e i cani sciolti. L'arma dell'ex premier è il passaggio dello Statuto in cui viene vietata esplicitamente la formazione di correnti. Non a caso, l'avvocato di Volturara ha insistito molto sulla compattezza e sul no al correntismo da vecchi partiti nel suo video diffuso sabato. Proprio per questo c'è chi teme espulsioni tra i non allineati. Mentre Di Maio, nei mesi scorsi, si è dimesso da membro del Comitato di Garanzia proprio per avere la possibilità di esprimere un controcanto rispetto al neo centralismo democratico contiano.
Il presidente del M5s smentisce la tentazione di voler far cadere il governo, eppure ha cominciato a lavorare ai fianchi in vista delle elezioni politiche del prossimo anno. La guerra in Ucraina gli offre lo spazio per corteggiare un elettorato pacifista e anti-atlantista, un segmento ancora ben rappresentato tra chi vota Cinque Stelle e non solo. Con il Pd filo-atlantico di Enrico Letta, l'avvocato ha individuato un'insenatura politica, una possibile legge proporzionale farà il resto. Nel frattempo si prepara a piazzare uomini di fiducia nei coordinamenti territoriali e aspetta il momento del voto nazionale. L'obiettivo è eliminare il dissenso dalle liste future e magari far rientrare dalla finestra Alessandro Di Battista.
Sullo sfondo il terzo mandato, che potrebbe essere concesso di nuovo soltanto a pochi deputati e senatori uscenti, scelti online tra i «meritevoli» secondo criteri che però sembrano difficili da definire. Perciò risuona di nuovo l'eco di una scissione, forse propiziata dalle divisioni sulla politica estera.
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