E Di Maio (in Mali) si ritrova esautorato

Nella partita estera il premier ora è assistito dall'esperto di Turchia

E Di Maio (in Mali) si ritrova esautorato

«Ho saputo della riconferma come ministro 15 minuti prima dell'annuncio di Draghi in tv», disse Luigi Di Maio nel giorno della formazione del governo. Pare che dell'affondo anti Erdogan del presidente del Consiglio lo abbia saputo ancora più tardi. Il ministro degli Esteri del resto era fuori zona: ha concluso ieri una missione in Mali e non aveva ancora detto una parola sul «sofagate» di Ankara.

Con i cronisti che lo hanno intercettato di ritorno dall'Africa e che gli chiedevano lumi dopo la dura replica turca, l'ex capo politico 5s non ha neanche provato a prendersi la scena. Si è limitato a rassicurare: «Sto per sentire Draghi e concorderemo tutte le iniziative».

Che il timone nei rapporti con l'Europa sarebbe finito in mano a Draghi era facile da prevedere e anche naturale, visto lo standing internazionale del premier e la sua consuetudine con le cancellerie dell'Unione. Ma la verità è che Draghi ha imposto una svolta netta dell'intera politica estera italiana, in senso europeista e atlantista. Una virata in cui certamente non si vede la mano del ministro della Via della Seta, che pure è stato lesto ad allinearsi. «Rispetto alla postura dei governi Conte siamo a un'inversione di centottanta gradi», osserva un esponente del governo.

Ora è soprattutto sul quadrante mediterraneo che il peso del premier si sta facendo sentire e il ruolo di Di Maio si assottiglia. Nel recente viaggio in Libia Draghi ha portato con sé il ministro grillino, ma ha monopolizzato la scena, riducendolo a comprimario praticamente invisibile.

Dicono ad Ankara che il governo turco sia rimasto sorpreso dalla durezza dei toni anche perché con Conte erano abituati a un'Italia piuttosto arrendevole. Basta ricordare cosa successe durante la liberazione di Silvia Romano: l'agenzia turca Anadolu diffuse una foto della cooperante con indosso un giubbotto anti proiettile con lo stemma della mezzaluna, un modo per rivendicare che quel successo politico-diplomatico era affare loro. E l'Italia incassò in silenzio. Draghi pare aver suonato la riscossa, adeguandosi al nuovo approccio delle democrazie verso le autocrazie inaugurato da Joe Biden con il suo schiaffo a Putin. Difficile che Draghi si sia mosso alla cieca, visto che ad assisterlo c'è l'esperto consigliere diplomatico Luigi Mattiolo che, guarda caso, è stato ambasciatore ad Ankara. Del resto negli anni di Conte, l'Italia ha perso terreno in Libia proprio verso la Turchia di Erdogan: la «rimonta» passa da Ankara.

Di Maio è ridimensionato, ma ancora una volta, archiviando la via della Seta e firmando un articolo a quattro mani con il segretario di Stato Usa Anthony Blinken, ha mostrato la sua principale abilità: fare la piega e restare a galla.

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