Milano. «È stato il mio orgoglio di imprenditore milanese, di imprenditore italiano che mi ha consentito di arrivare fino in fondo, che mi ha convinto a comprare. Avevo visto arrivare qui gli Agnelli da Torino e prendersi La Rinascente. Non si erano fermati e avevano preso anche la Rizzoli e l'Alfa Romeo. E poi è arrivato Gardini da Ravenna a prendersi la Montedison. Va bene, sono tutti simpatici, l'avvocato Agnelli e quelli di Ravenna, anche se non sono milanesi. Ma il sottoscritto, da imprenditore milanese, non poteva assolutamente sopportare di veder arrivare i francesi o i tedeschi. Non potevo permetterlo». Così spiegava Silvio Berlusconi, nel 1988 le ragioni della sua ennesima impresa (non la più fortunata), quella della Standa. È uno dei tanti tasselli della parabola del Berlusconi imprenditore in cui può «immergersi» lo spettatore del «Piano B. Il Cavaliere del lavoro», una mostra (definita appunto «immersiva» perchè in una sorta di schermo a 360 gradi) che ricostruisce «un periodo di storia italiana attraverso la biografia imprenditoriale di Silvio Berlusconi, dal preludio nel mondo del mattone all'esperienza delle televisioni private, poi il calcio e la grande distribuzione, e il loro impatto nella società italiana» scrivono i curatori della mostra (da venerdì prossimo all'Enterprise Hotel di Milano). Il racconto si ferma al 1993, per tenersi fuori dalla stagione politica berlusconiana e dalle divisioni che inevitabilmente scatenerebbe. Anche se già solo il fatto di raccontare un pezzo della vita di Berlusconi in modo non inquisitorio si espone all'accusa di averne fatto un'agiografia, o comunque di aver storicizzato il personaggio con troppo anticipo sui tempi. Se n'è accorto subito l'ideatore della mostra Edoardo Filippo Scarpellini, imprenditore, ad del gruppo Milano Card. «Ho scoperto che parlare di Berlusconi non è facile. Conoscenti e amici a cui ho accennato l'idea erano preoccupati proprio dall'idea di parlare di Berlusconi, seppure senza toccare la politica. Forse è stato sempre così in questo paese, certi nomi, certe storie si possono raccontare solo ai posteri. Da lì ho capito che dovevamo assolutamente raccontare una storia davvero epica, con tutti i suoi risvolti, che ha impattato a fondo sul Paese. Epica perché in un Paese che non cambia mai ecco che arriva dal nulla una persona e cambia tutto, interpretando la voglia di nuovo, di cambiamento che covava sotto terra in Italia».
Il documentario è sceneggiato da Giuseppe Frangi, che mette subito in chiaro di non essere affatto berlusconiano, anzi al contrario di far parte dell'Italia che ha sempre guardato al berlusconismo «dall'alto in basso, da intellettuale pasoliniano», ma ha provato comunque a farlo «con l'occhio dei moltissimi italiani per cui ha rappresentato un
sogno». La storia si sviluppa tra immagini, voci e musiche, con una intervista a tratti spassosa a Vittorio Sgarbi che racconta anche il Berlusconi collezionista, criticandone senza pietà le scelte in fatto di opere d'arte.
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