Francesco Leone Grotti
Non serve la sfera di cristallo per immaginare che la Corea del Nord sarà uno dei dossier principali al centro dei colloqui tra il presidente americano Donald Trump e il suo omologo cinese Xi Jinping. I due leader più importanti del mondo si sono incontrati ieri sera (notte in Italia) per la prima volta in Florida, a Mar-a-Lago, e il faccia a faccia proseguirà anche oggi. Per non rischiare che i due si dimenticassero di Pyongyang, mercoledì Kim Jong-un ha fatto recapitare un promemoria sotto forma di missile balistico a medio raggio. Lanciato dalla città costiera di Sinpo, il missile ha volato per nove minuti verso il Mar del Giappone e si è inabissato nell'oceano.
La provocazione è più che riuscita e ieri mattina Trump ha ribadito telefonicamente al primo ministro giapponese, Shinzo Abe, che per rispondere «tutte le opzioni sono sul tavolo», anche quella militare. Il presidente repubblicano, ha fatto sapere la Casa Bianca, «ha chiarito che gli Stati Uniti continueranno a rafforzare la propria capacità di scoraggiare la Corea del Nord e difendere se stessa e i suoi alleati con la gamma completa del proprio arsenale militare». Trump ha anche sottolineato che «gli Stati Uniti sono dalla parte degli alleati giapponese e sudcoreano davanti alla grave minaccia che la Corea del Nord continua a rappresentare».
Mentre era in corso la telefonata di 35 minuti tra Trump e Abe, la Corea del Sud testava con successo un missile balistico in grado di colpire «dovunque» il Nord. Seul, con il consenso degli Usa, ha l'obiettivo di dispiegare i nuovi missili entro l'anno. La nuova santa alleanza che si va formando tra Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud non servirà solo come «forte deterrente» verso le provocazioni di Kim, che da anni cerca di sviluppare un missile intercontinentale a lungo raggio in grado di montare una testata nucleare miniaturizzata per minacciare l'America. Gli accordi, politici e militari, servono anche per fare pressione su Xi Jinping e convincerlo che, se non vuole restare isolata e accerchiata, la Cina deve davvero fare di tutto per fermare Pyongyang.
Non sarà facile. Pechino è di gran lunga l'unico alleato di Kim, ma non per questo sopporta l'ingombrante vicino. Anzi. I rapporti tra i due paesi sono ai minimi storici, ma il partito comunista cinese continua a vedere più vantaggi nel confinare con una dittatura ideologicamente contigua, piuttosto che con una democrazia alleata degli Stati Uniti. E se il rapporto tra Pechino e Tokyo, per motivi storici, non è mai stato eccellente, quello con Seul è peggiorato drasticamente a inizio marzo, quando il primo dei cinque principali componenti del sistema missilistico difensivo Thaad è arrivato nella base militare sudcoreana di Osan. Il sistema, operativo entro l'anno, serve a difendere i due terzi della Sud Corea da un eventuale attacco di Pyongyang, ma la Cina teme che i potenti radar installati possano spiare «i nostri arsenali militari».
L'amicizia sempre più stretta tra Seul, Washington e Tokyo potrebbe convincere Pechino a superare lo stallo che si era creato con Barack Obama.
Trump farà capire chiaramente al presidente Xi che se non smetterà di aiutare il regime di Kim, gli Stati Uniti useranno ogni mezzo per mettere in ginocchio a suon di sanzioni quelle banche cinesi e quegli individui che continuano a fare affari con Pyongyang.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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