E scatta la gara alla scusa più inverosimile. "Colpa del commercialista", "In beneficenza"

Il consigliere Pd chiama in causa la compagna: "Faceva le prove con la mia partita Iva". Il colpo di genio del leghista: "Chiesti per i più bisognosi"

E scatta la gara alla scusa più inverosimile. "Colpa del commercialista", "In beneficenza"

È colpa del commercialista, l'ha chiesto la mia compagna, c'è stata l'invasione delle cavallette. Come prevedibile in pochi, tra i pochissimi usciti allo scoperto, confessano apertamente di aver voluto incassare il bonus governativo. La maggioranza invece sostiene che quei soldi li ha ricevuti sì, ma a sua insaputa o per errore. Del resto a chi non capita di ricevere per errore 1200 euro sul conto corrente? Si scopre tra l'altro che la classe politica italiana ha un gran cuore e ama donare soldi in beneficenza. Purché siano quelli ricevuti «per sbaglio» dall'Inps, però.

Al momento (ma la classifica è in costante aggiornamento) la scusa più esilarante è quella del consigliere regionale piemontese Diego Sarno (Pd), 7.500 euro netti al mese il suo emolumento in Regione. Con un lungo post su Facebook dichiara di voler spiegare tutto perché «quando sbaglio sono il primo ad ammetterlo». Ma subito dopo si capisce che lo sbaglio non è stato il suo, ma della fidanzata, la quale gestisce la contabilità e per esercitarsi ha usato la partita Iva anche del compagno-consigliere regionale. E siccome ci si trovava bene, l'ha usata anche quando si è trattato di richiedere il bonus, che infatti è stato poi bonificato a Sarno. Il quale, ora, sostiene di averlo dato in beneficenza. Senza però fornire prove.

Non male neppure la scusa del suo collega della Lega, il consigliere regionale Matteo Gagliasso. Qui la colpa è del commercialista: «Mi ha detto: facciamo la richiesta. Io poi non ho seguito la vicenda». Poi, con sua grande sorpresa, dieci giorni fa Gagliasso fa ha visto 1.200 euro di accredito sul conto e - sostiene lui - si è precipitato a restituirli all'Inps. Giusto un giorno prima che scoppiasse lo scandalo, una tempistica fortunata.

Anche il consigliere regionale leghista Claudio Leone l'ha ottenuto e restituito all'Inps, ma sdoppiandosi dice che non l'aveva chiesto come politico con ricco emolumento, ma come partita Iva titolare di negozi in quel momento chiusi: «I contributi erano destinati alle società di cui faccio parte per il periodo di chiusura dei negozi. Ne ho parlato con i soci e abbiamo deciso di chiedere il bonus. L'ho fatto a cuor leggero forse», dice.

Un altro benefattore (con i soldi dell'Inps) è il consigliere comunale fiorentino Ubaldo Bocci (Lega). La sua dichiarazione dei redditi 2019 dice 277mila euro, eppure ha ottenuto l'aiuto statale. Colpa del commercialista, naturalmente, che l'ha convinto a prenderli, «e allora pensai che potevo richiederli per donarli a chi ne aveva davvero bisogno. E così ho fatto. Ho i bonifici che lo testimoniano». La spiegazione non convince i vertici della Lega che si dicono «sconcertati» da una «scelta sbagliata», e prendono le distanze dal loro consigliere («Non è tesserato Lega»). Del partito di Salvini fanno parte altri tre richiedenti aiuto, stavolta in consiglio regionale del Veneto. Uno è il vice di Zaia in Regione, Gianluca Forcolin. La colpa stavolta è della socia dello studio tributario: «Senza che lo sapessi, ha presentato domanda per tutti dove possibile. Avevamo sette dipendenti in cassa integrazione. Io non ho visto un centesimo. La domanda non è stata accettata. Non è arrivato mai nulla». Altri due consiglieri leghisti stanno cercando di spiegare perchè abbiano chiesto anche loro il bonus malgrado la generosa indennità regionale. Il consigliere Riccardo Barbisan è pronto a fornire il numero di telefono del suo commercialista per dimostrare che è stato lui a chiederli. Comunque il giorno dopo averli ricevuti li ha bonificati al comune di Treviso, e «nelle stesse ore do indicazioni al mio commercialista di non richiedere altri bonus», si sa mai.

Anche Alessandro Montagnoli li ha presi e poi dati in beneficenza: «All'inizio dell'emergenza ho presentato la domanda per il sostegno, in quanto lavoratore autonomo. Poi mi sono reso conto dell'errore e ho cercato di rimediare». Un errore diffuso, che però sta costando la faccia a molti.

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