Beata gioventù, con l'insostenibile leggerezza delle passioni civili e la prevalenza del capriccio nobilitato a progetto politico. Tornano le Sardine, i nipotini anti Salvini forgiati nell'officina di mastro Prodi e di altri vecchi arnesi della politica che hanno finto di delegare il loro residuo potere alle generazioni future. A metà tra le battaglie radicali degli anni '70 e la politica digitale delle piattaforme, le «6000 Sardine» (nuovo marchio di fabbrica), tornano in piazza nel fine settimana tra Roma, Firenze e Bologna. Si rifanno vive per vendere seimila piantine di cannabis light, prenotabili (...) (. ..) in rete e ritirabili sul luogo del comizio. Ecco una proposta concreta di rilancio del Paese, spacciata con la solita retorica degli immensi benefici economici legati al mondo della droga leggera. Una panacea inebriante che propugna la legalizzazione della marijuana con le solite motivazioni che vedono solo miracoli e nessun rischio: spacciatori che spariscono, cure miracolose ostacolate dalla scienza ufficiale, coltivazione fai da te per fare lievitare il Pil. Non è la prima volta che le Sardine si impegnano per mandare in fumo il Paese. Ma questa volta provano a rilanciare una ragione sociale svanita con l'ingresso al governo di Salvini, ritrovatosi nei mesi scorsi a essere l'unico membro dell'opposizione in Europa occidentale a essere bersagliato da un movimento giovanile di sostegno al governo. Robe da Bielorussia di Lukaschenko. Con le Sardine guizzanti, ritorna in campo il leaderino Mattia Santori, il sorridente riccioluto cui vengono perdonati dalla sinistra svarioni e ingenuità imbarazzanti nel nome della forza anagrafica. I giovani che protestano hanno sempre ragione, soprattutto se detestano quel mondo liberale che li tratta con la tolleranza che loro certamente non riservano agli avversari. Per Mattia, Salvini è un «disperat» che perde consensi nei sondaggi, e pazienza se da un paio d'anni risulta alla guida del primo partito italiano. E Berlusconi va tenuto alla larga dal Quirinale perché è «ampiamente escluso» dall'identikit sardiniano del futuro presidente della Repubblica: «Una figura seria, con uno sguardo ai giovani e al futuro e che non gli serve alcuni tipo di spettacolarità per emergere».
Regolati i conti con l'«altro mondo», quello che si sbatte anche senza coltivare l'erba in terrazzo, Mattia traccia anche un programma di governo, non si sa mai che a sinistra qualcuno prima o poi sogni di affidare un ministero alle Sardine. Santori è un idealista che vola alto, figurarsi se perde tempo con la partita Iva del suo idraulico o i ristori del barista sotto casa che non ha lavorato per un anno. «Le leggi su cannabis, ius soli e ddl Zan sono tutte e tre indicatori di una crescita civile di una comunità e di capacità di superare retaggi vetusti» proclama con slancio. E «siamo pronti», riedita l'«Italia chiamò» per scuotere masse di ragazzi sonnolenti distratti da movida e spritz. C'è qualcosa di fanciullesco nell'elencare i tre filoni che delineano lo stereotipo del progressista perfetto: la legge per rendere automatica la cittadinanza italiana anche a chi magari non la desidera, la legge anti omofobia che tre quarti del Paese non ritiene urgente e la droga libera di cui non si parla più neanche al pub tra il primo e il secondo tempo della partita.
Santori contesta a Salvini di «guardare famelico ai voti di Forza Italia», ma non vede il suo furore da apostolo del progressismo che si pone un passo avanti a tutti gli italiani per le sue larghe vedute. Questa volta gioca con le piantine di cannabis con la freschezza del neofita che vuole svecchiare il Palazzo. Si goda il suo bel weekend anti proibizionista, a 33 anni non c'è mai fretta di crescere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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