La piccola Elena non è morta subito. I primi esiti dell'autopsia accertano che si è trattato di una morte atroce. Degli oltre 11 colpi inferti con un'arma compatibile con un coltello da cucina, che ancora non è stato ritrovato, uno è stato letale perché ha reciso i vasi arteriosi dell'arteria succlavia, poco sotto la clavicola. Il procuratore capo di Catania, Carmelo Zuccaro, conferma: «La morte non è stata immediata». La piccola, insomma, ha avuto il tempo di capire cosa le stava accadendo. È morta «dopo più di un'ora dal pasto che ha consumato a scuola intorno alle 13», informa il procuratore.
L'assassina, la madre 24enne Martina Patti, resta in carcere. La gip di Catania Daniela Monaco Crea, che dopo l'interrogatorio di garanzia di venerdì si era riservata, ha convalidato il fermo disponendo un'ordinanza di custodia cautelare in carcere per omicidio premeditato pluriaggravato e occultamento di cadavere. Lì nella sua cella, dove viene controllata 24 ore al giorno, Martina avrà modo di riflettere sull'orrore commesso e sulle bugie riferite agli inquirenti denunciando il sequestro della bambina da parte di un commando armato, falsità dalle quali si è ricreduta solo dopo essere stata messa con le spalle al muro dalle immagini di una telecamera che sconfessavano la sua verità, che lei riteneva invece suffragata dalla messinscena del rapimento con la maniglia della portiera dell'auto forzata. Si attendono gli esiti degli esami tossicologici sul corpicino per capire se Elena sia stata sedata e quelli che accerteranno la presenza o meno sul suo corpo di Dna di terzi. «Ho fatto tutto da sola», ha ribadito Martina, ma «i tanti non ricordo dell'indagata e la sua tendenza a mentire - dice il procuratore - impediscono di dare credibilità alle parti delle sue dichiarazioni che non sono suffragate da riscontri oggettivi».
Intanto ieri i Ris sono andati nella villetta di via Euclide, a Mascalucia, per effettuare gli accertamenti irripetibili e nelle campagne. «Servono ad avere una ricostruzione il più possibile certa e completa», spiega il procuratore. Saranno fondamentali per ricostruire cosa sia accaduto in casa il 13 giugno, dopo l'arrivo dall'asilo di mamma e figlia. Stando alla versione di Martina, Elena ha mangiato solo un budino, visto che aveva pranzato a scuola e ha guardato i cartoni dal cellulare mentre lei stirava. Poi, con la scusa di un gioco, l'avrebbe condotta in un campo a circa 200 metri da casa, le avrebbe messo un sacco nero in testa e l'avrebbe uccisa a coltellate. Infine, l'avrebbe riposta nella fossa da lei scavata con zappa e pala. Queste le dichiarazioni di Martina al gip. E, dati i primi esiti dell'autopsia, viene da chiedersi se la piccola fosse ancora agonizzante quando è stata messa nella fossa e coperta con sacchi neri nei quali sono stati rinvenuti il pantaloncino e la mutandina, tolti, chissà, forse per inscenare uno stupro.
Ma della versione della madre qualcosa non convince gli investigatori. Nel campo, che è stato scandagliato anche con un drone, non è stato trovato sangue in quantità tale da poter affermare che Elena sia morta lì. Ma perché mentire sul luogo del crimine? Se in casa i Ris troveranno le prove dell'atroce delitto, si farà più plausibile la possibilità che Martina sia stata aiutata da qualcuno se non altro a sbarazzarsi del corpicino. Una telecamera che riprende la casa e i video acquisiti sono al vaglio dei carabinieri che accerteranno se c'era un complice e se Elena era viva, come sostiene la madre, quando sono uscite. Un dato di fatto è che la modalità del figlicidio denota rabbia profonda, ma anche determinazione, visto che dopo la prima coltellata l'assassina avrebbe avuto il tempo di pentirsene e invece si è accanita.
Il movente, secondo gli inquirenti, va ritrovato nella gelosia di Martina non solo per la relazione serena dell'ex compagno Alessandro, padre di Elena, con un'altra donna, ma anche per il rapporto tra quest'ultima ed Elena. Basti pensare che, informata dell'omicidio, la nuova compagna urlava: «La mia bambina!».
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