Elly già beatificata dai progressisti. E Concita teorizza il razzismo sull'età. "Meloni è vecchia"

La stampa di area Pd ha accolto con la banda al completo di fanfare e tromboni l'arrivo della Schlein, la nuova eroina della sinistra chiamata a sconfiggere l'oscuro regno del centrodestra

Elly già beatificata dai progressisti. E Concita teorizza il razzismo sull'età. "Meloni è vecchia"

La stampa di area Pd ha accolto con la banda al completo di fanfare e tromboni l'arrivo della Schlein, la nuova eroina della sinistra chiamata a sconfiggere l'oscuro regno del centrodestra. L'entusiasmo trasuda dagli articoli in effusioni talora scomposte per la troppa infatuazione. Capita sempre con ogni nuovo premier o leader del Pd (ma si estende anche extra confine, da Zapatero a Tsipras, Hollande, e altri amori esotici finiti male), è colpa dell'emozione.

Tanto più che Elly ha tutte le carte in regola: donna, fluida sessualmente, femminista, giovane, inclusiva, ben introdotta nei vertici Pd ma con l'immagine della outsider che ce la fa da sola «grazie alla sua forza» (La Stampa), non grazie alle truppe cammellate di Franceschini, Boccia e Bettini. Sono arrivati persino a definirla una «underdog», cioè la «sfavorita» che si deve sudare ogni gradino, proprio lei che arriva da una agiata famiglia di professori universitari, nel difficile contesto sociale di Lugano, triplo passaporto, avi illustri, buone scuole, ottime relazioni, volontaria al seguito di Obama, una origine ultra privilegiata semmai. Ma nell'ubriacatura da Schlein si può vedere doppio. Anche al Manifesto sono colpiti, finalmente una «femminista» e «una donna che ama un'altra donna» in un partito «storicamente maschilista» come il Pd. «È la donna giusta per noi», scrive invece la scrittrice femminista Michela Murgia, che aveva espresso dubbi persino sul fatto che la Meloni fosse una donna, politicamente parlando, in quanto di destra. Ma la supera Concita De Gregorio, che inventa una nuova categoria di razzismo, quello anagrafico. La tesi è che, siccome la Schlein è più giovane, la Meloni automaticamente non lo è più, così di botto in un giorno. Dopo essersi commossa per la «rivoluzione senza testosterone, con la gentilezza ferma del sorriso» della neosegretaria italo-svizzera, spiega che la Meloni «invecchia al cospetto di una donna ancora nei suoi trent'anni che non origina dal comunismo come lei dal fascismo». Anche il fatto di non essere eterosessuale né madre, «niente di tutto quello che rassicura i conservatori», la ringiovanisce, mentre la Meloni «torna ad essere quello che è: l'ultima erede di un partito del Novecento, una storia antica». Una vecchia, superata. E neanche tanto donna, visto che non è femminista.

La Schlein invece è la festa di quel mondo. Per Linda Laura Sabbadini «ha ridato speranza a donne, giovani, anziani, a lavoratori, precari e non, disoccupati e pensionati», fuochisti, ferrovieri, facchini, uomini di fatica, aggiungerebbe Totò. Tutto d'un tratto ci si è accorti di avere a sinistra una grande leader, una «in grado di stimolare passioni politiche spente, di ridare fiducia a un esercito di scontenti, di spingere i più giovani a partecipare», tutto questo, «rovesciando la piramide del Pd, rompere con quella storia della sinistra», scrive Norma Rangeri sul Manifesto. Vasto programma per l'ex vicepresidente dell'Emilia Romagna, e certo non basterà chiamare la sardina Santori per realizzarlo. Il rischio abbaglio è forte, ma l'eccitazione per la novità è troppa. Improvvisamente la Schlein, fino a ieri nemmeno iscritta al Pd, è la leader del Pd che serviva per riorganizzare tutto il campo progressista e sconfiggere la destra.

Vuoi mettere lei con Bonaccini, «un governatore di lungo corso, uomo, di mezza età», spiega l'ex finiana Flavia Perina. Tutti infatuati della nuova leader, che deve però conquistare ancora tutto. A parte la simpatia dei media, quella ce l'ha già.

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