È sui messaggi telefonici e sulle mail che ora si focalizzano gli accertamenti disposti dalla procura di Verbania per fare chiarezza sulla strage della funivia del Mottarone, costata la vita a 14 persone.
Lo scambio di informazioni e le comunicazioni nei giorni precedenti alla tragedia tra il caposervizio Gabriele Tadini, il direttore di esercizio Enrico Perocchio e l'amministratore della società Luigi Nerini, potrebbero avvalorare o smentire l'ipotesi che qualcuno di loro «potesse non sapere». Ossia che il caposervizio della funivia abbia utilizzato i ceppi per bloccare i freni «ad insaputa» di direttore ed amministratore della società che gestisce la funivia Stresa-Mottarone. I riscontri che emergeranno da questa indagine potrebbero fare la differenza per gli indagati Perocchio e Nerini che hanno sempre sostenuto - ed il gip ha creduto alla loro versione, scarcerandoli - di non sapere nulla del freno che, se non fosse stato bloccato, molto probabilmente avrebbe evitato la strage. Ciò che si vuole accertare, passando al setaccio le comunicazioni tra i tre indagati, è se - come ha detto Tadini anche al giudice - è vero che tutti sapevano del malfunzionamento e dell'utilizzo dei ceppi per bloccare i freni.
Al vaglio degli inquirenti c'è poi la posizione di un operaio in particolare. Se infatti è stata unanime la posizione dei dipendenti nel dichiarare che Tadini era informato dell'utilizzo dei «forchettoni» per disattivare il sistema frenante, potrebbe cambiare la posizione del manovratore che fisicamente domenica mattina non ha rimosso il blocco al sistema frenante. Un dipendente-testimone ha infatti messo a verbale il nome dell'operatore che quella maledetta domenica mantenne i ceppi sulla cabina 3 «su autorizzazione» di Tadini. Lo stesso operatore ha confermato ai pm che fu il caposervizio a dare l'ordine e - in linea con il verbale di Tadini - ha anche raccontato che il tecnico aveva più volte discusso col gestore Nerini e col direttore Perocchio perché lui avrebbe voluto chiudere l'impianto, mentre gli altri due non volevano per motivi economici. L'operatore ha anche descritto Tadini come «demoralizzato» e turbato in quei giorni perché, a suo dire, voleva interrompere le attività della funivia per le anomalie ai freni. Tadini - sempre secondo il dipendente dell'impianto - subì pressioni da Nerini per non fermare i viaggi delle cabine. Addirittura, secondo le testimonianze raccolte dalla procura, pare che fosse una prassi, quella di utilizzare il forchettone per bloccare il freno, che andava avanti da fine aprile, ossia dall'apertura dopo il lockdown. Ciò significa che la procura potrebbe contestare «omissioni dolose di cautele», anche in altri giorni in cui la cabina era in funzione coi ceppi inseriti e i viaggiatori all'interno e solo per fortuna non accadde nulla. Per ora le analisi sulle eventuali responsabilità si concentrano su quella mattina, sulla decisione di tenere i ceppi e sulla consapevolezza del dipendente che non li tolse. Per questo i nomi sul registro degli indagati potrebbero aumentare: ed il primo della lista sarebbe proprio quello dell'addetto-manovratore della funivia. È lui il principale accusatore del caposervizio Tadini, da domenica notte agli arresti domiciliari nella sua casa di Borgomanero: «E' stato Gabriele Tadini a ordinare di mettere i ceppi per bloccare i freni di emergenza della cabina» e questo per ovviare a delle anomalie al sistema frenante, ha detto in un passaggio chiave della sua deposizione in procura, dove è stato sentito come persona informata sui fatti.
Tadini, secondo il manovratore, diceva: «Prima che si rompa il cavo ce ne vuole», ed è lo stesso avvocato di Tadini, Marcello Perillo a dire: «Sui forchettoni il mio cliente è indifendibile». Per la Procura, il dipendente avrebbe potuto disobbedire all'ordine ma non lo fece.
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