Era facile prima, quando parlava solo da segretario della Lega. Bastava qualche slogan ad effetto per convincere gli elettori che sull'immigrazione serviva il pugno duro: «Se vinco, riempio gli aerei di immigrati e li riporto a casa».
Adesso, da ministro dell'Interno, quando affronta l'emergenza migranti Matteo Salvini deve fare i conti con tutto quello che comporta il suo nuovo ruolo non solo in termini di leggi e accordi con gli altri Paesi, ma pure di ostacoli interni per superare la probabile ostilità degli amministratori locali, alcuni del Nord e non solo del Carroccio, da sempre contrari all'apertura di centri di identificazione ed espulsione nei propri territori, quei Cie pensati come riedizione dei vecchi centri di permanenza temporanea e assistenza necessari per trattenere i migranti in attesa di essere espulsi e che l'ex ministro Marco Minniti avrebbe voluto aprire in ogni regione. Perché senza identificazione non ci può essere espulsione e la politica di Salvini punta proprio ad aumentare il numero dei rimpatri e a renderli più rapidi.
«Servono centri per espellere, basta alla Sicilia campo profughi d'Europa. Non assisterò senza fare nulla a sbarchi su sbarchi su sbarchi», ha ribadito infatti ieri il numero uno del Viminale in occasione della visita all'hotspot di Pozzallo, in provincia di Ragusa. Salvini non vuole azzerare quanto fatto dal governo precedente con il quale gli sbarchi si sono sì ridotti, ma a fronte di soli settemila migranti espulsi. «Così ci mettiamo un secolo», ragiona il ministro, che ha come priorità, oltre agli accordi con i Paesi da cui provengono gli immigrati e la ridefinizione del ruolo dell'Italia in Europa, appunto l'apertura di nuovi centri di espulsione nelle varie regioni, anche al nord. Non propriamente una passeggiata per Salvini, dal momento che molte regioni, di sinistra ma anche della Lega, hanno già detto no in passato all'apertura dei Cie.
La sua prima grana politica, dunque, Salvini rischia di doverla affrontare proprio in casa sua per convincere i sindaci interessati e gli amministratori delle Regioni a guida centrodestra ad ospitare i migranti che aspettano di essere rimpatriati. Minniti aveva trovato molte porte sbarrate. Adesso Salvini deve tornare all'attacco per cercare di vincere le resistenze di chi finora non ha mostrato alcun tipo di apertura. E lo dovrà fare in Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia, dove governano i leghisti Attilio Fontana, Luca Zaia e Massimiliano Fedriga. Ma anche nella Liguria di Giovanni Toti, esponente sì di Forza Italia ma con una maggioranza in giunta dove la Lega ha un peso decisivo. Con loro Salvini dovrà far valere la sua moral suasion e, chissà, magari potrebbe essere un vantaggio dover trattare con amministratori locali del suo stesso partito. Perché è chiaro che sia i cittadini che i governatori continuano ancora oggi, esattamente come quando c'era Minniti, a non vedere affatto di buon grado l'apertura di Cie sul proprio territorio.
Il leader leghista è determinato ad accorciare i tempi necessari per rimandare a casa gli irregolari e si mostra fiducioso sulla collaborazione delle istituzioni interessate: «I nostri uffici ci stanno lavorando - dice - se si tratta di avere luoghi di trattenimento pre-espulsione i sindaci non si opporranno. Non chiedono altro. Il problema sono i centri dove la gente esce di mattina e torna la sera».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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