Emma si vesta come vuole. Ma pure la critica è un diritto

Il giudizio estetico su un abito, e non solo, è educativo e non lede alcuna libertà. L'abuso è volerlo impedire

Emma si vesta come vuole. Ma pure la critica è un diritto

Se noi andassimo in giro nudi, avremmo una disgustosa immagine di vermi, diceva il noto studioso di estetica Gillo Dorfles, che è stato anche mio professore all'università. Dunque, l'abito è il nostro stesso corpo e parla di noi: il nostro modo di vestire è il nostro linguaggio, e come ogni linguaggio può essere elegante o volgare, di buon gusto o di cattivo gusto, assolutamente normale o trasgressivo. E molto altro ancora. Quindi se il prof. Zecchi si presenta in una trasmissione tv con una canottiera a vista e giacca di pelle nera con l'addobbo di una catenella al collo corredata da curioso pendaglio di civiltà indefinibile, chi già lo conosce dirà che si è bevuto il cervello, chi lo vede per la prima volta dirà che appartiene alla comunità di metallari o qualcosa del genere. Così come Emma è stata criticata dal giornalista Davide Maggio per le calze a rete usate a Sanremo, che a suo dire non donerebbero alle sue forme. Insomma, non c'è niente da fare: a chi ci osserva, la nostra immagine arriva prima delle nostre parole, perché la nostra immagine è un linguaggio che il più delle volte è maggiormente comunicativo delle stesse parole.

Nei limiti della decenza e del rispetto dei luoghi (una chiesa è una chiesa, non un palcoscenico o una piazza; un tribunale è un tribunale, non una discoteca o il campo per un raduno rock; naturalmente, una scuola), una persona ha il diritto di vestirsi come vuole, cioè usare il linguaggio con cui crede meglio esprimersi. Io osservo e così ascolto il linguaggio che quella persona mi comunica col suo abito sul suo corpo. Posso permettermi di giudicarla? Supponiamo che una persona mi legga delle sue poesie. Posso permettermi di giudicarla? Certo, le dico che mi fanno schifo. Lei protesta; io le spiego qual è una vera poesia e perdo del tempo con l'analisi di una lirica di Leopardi. Sono in grado di farlo, e lei con un po' di umiltà potrebbe imparare. Invece va in giro, dicendo che l'ho voluto umiliare, frustrare nella sua creatività. Per me può scrivere tutte le poesie che vuole, ma se le leggo, ho il diritto di dire che sono porcherie, e il mio giudizio non è soltanto estetico ma anche pedagogico, perché semmai qualcuno leggesse quelle porcherie, non pensasse che quella roba è poesia, sentendosi così in diritto di scrivere schifezze simili, ritenendole poesie.

Naturalmente, il linguaggio poetico è più complesso del linguaggio di un abito sul nostro corpo, ma anche quest'ultimo è espressione di un significato che si inserisce in una struttura comunicativa. Dunque, riprendiamo la prima domanda a cui non avevo dato risposta. Certo che posso giudicare il modo in cui si veste una persona: giudico il suo linguaggio, la forma della comunicazione, il suo significato. È evidente che ci sia modo e modo nel formulare il giudizio: ovvio che non può essere impositivo e moralistico, ma un giudizio estetico non solo si può esprimere, ma si deve pronunciare, proprio sotto il profilo pedagogico, perché l'educazione estetica è il fondamento dell'educazione sentimentale. Quando si comunicano i propri sentimenti, questo processo avviene attraverso il linguaggio delle parole e il linguaggio del corpo: il controllo dell'espressione, affinché essa sia, per esempio, affettuosa o irritata, sentimentale o fredda, dipende dalla capacità di comprendere la qualità estetica del linguaggio che si usa.

La cantante desidera evidenziare le sue cosce? Padronissima di farlo e di suggerire a tutte le ragazze del mondo di seguire il suo esempio. Ma senza aggressività e inutile ironia posso dirle che con un abito diverso sul suo corpo poteva esprimere un linguaggio più bello. Non le interessa? Neppure a me interessa convincerla, proprio come nel caso della poetessa di prima, felice delle sue poesie che non capisce che sono porcherie. C'è modo e modo, certamente: un giudizio, anche il più elementare, deve sempre essere rispettoso, e la persona che viene giudicata deve pretendere il rispetto.

Ma una società non potrà mai prescindere dalla comunicazione dei suoi membri: la comunicazione è forma della società stessa, e il giudizio sul linguaggio della comunicazione di necessità diventa imprescindibile per la stessa struttura sociale. Affermare che non si può e non si deve giudicare, è un'ipocrisia.

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