A piccoli passi, secondo le usanze cinesi, Pechino si compra l'Italia. Un po' di Fiat, un pizzico di Telecom, una fettina di Eni ed Enel, la banca centrale del colosso asiatico sta entrando nelle maggiori società di casa nostra, pronta a moltiplicare gli investimenti se dovesse crescere la fame di liquidità della nostra economia, o nel caso in cui i prezzi degli asset si facciano ancora più convenienti. Secondo la fondazione Italia-Cina, più di 90 gruppi cinesi (Hong Kong esclusa) avevano una presenza in aziende italiane alla fine del 2013.
Secondo il Financial Times , nel 2014 l'Italia è stato l'obiettivo principale dello shopping cinese in Europa. Dei 6 miliardi di dollari complessivamente investiti nel Vecchio continente, quasi 4 miliardi sono piovuti da noi. Dopo Gran Bretagna e Francia, l'Italia è il terzo Paese europeo per ammontare degli investimenti cinesi davanti a Germania, Grecia, Portogallo e Spagna.
La Banca del popolo cinese a luglio ha acquistato quote di Fiat-Chrysler (177 milioni di euro per il 2 per cento delle quote), Telecom Italia (310 milioni per il 2,081 per cento) e Assicurazioni Generali (475 milioni per il 2,014 per cento). A marzo era toccato a Eni (1,4 miliardi per il 2,1 per cento della società petrolifera) ed Enel (734 milioni per il 2,07 per cento).
In maggio la Cassa depositi e prestiti ha ceduto il 40 per cento di Ansaldo Energia, che era appartenuta a Finmeccanica, allo Shanghai Electric Group per 400 milioni di euro. Ad agosto è volata a Pechino una parte di Prysmian, gruppo attivo nel settore dei cavi per le telecomunicazioni e il trasporto di energia: anche in questo caso è stata superata di poco la soglia del 2 per cento che obbliga a informare la Consob (70 milioni di euro per il 2,018 per cento).
L'operazione più clamorosa è stata l'acquisto per 2,1 miliardi di euro, ancora dalla Cassa depositi e prestiti (cioè il Tesoro), del 35 per cento di Cdp Reti, ovvero Terna e Snam, a China State Grid. Una precisa scelta geopolitica che la Cina ha pagato cara, riconoscendo un premio sulle quotazioni di Borsa. Operazione vantaggiosa per il governo italiano.
Auto, petrolio, reti per il trasporto di energia, telecomunicazioni, grande finanza, tecnologie industriali, e c'è anche spazio per il lusso: il gruppo Shenzhen Marisfrolg Fashion, azienda leader sul mercato asiatico del pret-à-porter di fascia alta, ha rilevato il marchio Krizia a febbraio per 35 milioni, mentre lo Shandong Heavy Industry Group è entrato in Ferretti Yatch con il 75 per cento e Peter Woo in Salvatore Ferragamo con l'8.
Alle grandi acquisizioni strategiche si aggiungono le piccole operazioni immobiliari e commerciali sul mercato nazionale. Case, negozi, attività economiche passano di mano con facilità, come dimostra il «boom» del sito www.vendereaicinesi.it . Per molti commercianti spremuti dal fisco i cinesi sono gli unici disposti a subentrare. Da febbraio il portale bilingue (italiano e mandarino) ha pubblicato 18mila inserzioni di vendita.
Dopodomani, giovedì, il premier cinese Li Keqiang parteciperà al quinto Innovation Forum Italia-Cina al Politecnico di Milano. Restituirà la visita di Matteo Renzi lo scorso giugno, quando portò in Cina uno stuolo di imprenditori pronti a sottoscrivere partnership con investitori cinesi. «Nel 2013 abbiamo registrato un aumento di clienti interessati a investire in Italia e il trend è continuato nel 2014 con una crescita di almeno il 50 per cento», dice all'agenzia Bloomberg Sara Marchetta, partner dello studio legale Chiomenti a Pechino.
«È tornata la fiducia - conferma da Shanghai Antimo Cappuccio, partner dello studio Pirola Pennuto Zei & Associati -. Investire nel Paese è conveniente perché i prezzi sono molto bassi e ci sono gioielli venduti come noccioline». Lo studio collabora con China Corporate United Pavilion per portare società asiatiche all'Expo 2015, per il quale sono già stati venduti un milione di biglietti in Cina.
Nonostante la lentezza della giustizia e le lungaggini della burocrazia, l'Italia attrae ancora gli investimenti esteri. Per Alberto Forchielli, socio fondatore di Mandarin Capital Partners, il più grande fondo di private equity sino-europeo, la banca centrale cinese (l'istituzione finanziaria con maggiori risorse e asset al mondo) ha un disegno preciso sull'Italia: «Di solito adotta un basso profilo - spiega a Formiche.net - tenendosi sempre sotto la soglia da dichiarare pubblicamente. In Italia invece Pechino la supera di pochissimo: significa che vuole farsi notare.
Un messaggio sia di amicizia, sia di potere».L'obiettivo è chiaro: «La Cina punta in modo deciso a spaccare l'alleanza tra Europa e Stati Uniti, anche per minare il trattato di libero scambio transatlantico e influenzare i processi europei».
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