Il giorno dopo la più grande svalutazione della lira turca da quando Erdogan guida il Paese, a suonare in Turchia sono due campane: quella della propaganda che vuole il leader pronto a rivolgersi ad altri alleati e quella della realpolitik, con i riverberi politici nell'intera macroregione che va dall'Iran ai sauditi. Il leader che un tempo, sulla scorta delle riforme di Atatürk, ammiccava all'Ue, oggi scuote nervosamente avversari e possibili partner. Attacca frontalmente la Casa Bianca e la avvisa: se non invertirà la tendenza all'unilateralismo e alla mancanza di rispetto «saremo costretti a iniziare a cercare nuovi amici e alleati». E sceglie le colonne del New York Times per dire a Donald Trump che «fino a quando gli Stati Uniti non inizieranno a rispettare la sovranità della Turchia e dimostreranno di capire i pericoli che affronta il nostro Paese, la nostra partnership potrebbe essere a rischio».
Ne ha anche per la geopolitica, in quanto «negli ultimi sei decenni, Turchia e Usa sono stati partner strategici e alleati nella Nato. E la Turchia è accorsa in aiuto dell'America ogni volta che è stato necessario». Il tentativo di schierarsi apertamente con Putin (con cui ha avuto ieri una conversazione telefonica) non contempla però il fatto che lo stesso presidente russo non potrà fare follie per aiutare il collega turco, sia per non venire meno alle sue alleanze storiche, in primis quella con l'Iran, sia perché il riavvicinamento Mosca-Ankara dopo l'abbattimento del jet russo è stato unicamente finalizzato alla costruzione del gasdotto Turkish Stream. E nessuno sa con certezza quanto potrà essere duraturo.
Le mosse politiche che tolgono il sonno a Erdogan come è noto sono concentrate nel Congresso Usa, che vuol bloccare l'accesso della Turchia alle istituzioni finanziarie internazionali e dice no all'acquisto di caccia F-35 Stealth, di cui l'avido esercito turco avrebbe bisogno per consolidare il proprio status di player militare in due scacchieri strategici, come il Mediterraneo orientale e il Medio Oriente dove proprio gli Usa stanno tornando operativi.
Ma dinanzi ai nuovi rapporti che si stanno evolvendo soprattutto nel post-sanzioni iraniane e con lo sguardo silente ma vigile di Pechino sul Bosforo, ecco che il margine di manovra del padrone della Turchia si restringe ulteriormente.
Infine un comune della provincia turca occidentale di Usak ha annunciato che ha smesso di pubblicare pubblicità digitale su Google, Facebook, Instagram, Twitter e YouTube e altre piattaforme basate negli Stati Uniti come risposta alle sanzioni statunitensi sulla Turchia. La dichiarazione è stata seguita da un tweet del sindaco di Usak, Nurullah Cahan, che ha promesso di «vincere contro i nemici che circondano da tutti i lati» la Turchia.twitter@FDepalo
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