Governare incontrastato il più a lungo possibile, trasformando la Turchia laica e quasi democratica costruita da Kemal Atatürk sulle ceneri dell'impero ottomano in un'autocrazia di stampo islamico con rinnovate ambizioni di potenza regionale. Non è un mistero che questo sia il sogno di Recep Tayyip Erdogan, il leader del partito «islamico-moderato» (ma sempre più islamico e sempre meno moderato) Akp giunto ormai a un passo dal suo coronamento. La riforma presidenzialista della Costituzione turca è infatti approdata al Parlamento di Ankara e l'uomo che ormai da 13 anni detta legge in Turchia conta entro pochi mesi di vedere le sue prerogative rafforzate in modo irreversibile grazie al «suicidio» dei parlamentari stessi. E di poter rimanere in sella fino al 2029.
Erdogan ha accelerato bruscamente i tempi della sua corsa verso un potere pressoché assoluto dopo il drammatico episodio che lo scorso 15 luglio ha rischiato di farglielo perdere per sempre. Quel giorno un gruppo di generali ostili all'inquietante involuzione della Turchia tentò piuttosto maldestramente di defenestrarlo, ma dopo alcune ore in cui il golpe sembrava riuscire l'aspirante autocrate fu in grado non solo di salvare la sua vita, ma anche di capovolgere le sorti della partita. Piegati i ribelli grazie all'intervento di militari fedeli e di folle di militanti dell'Akp mobilitate in suo sostegno, passò presto al contrattacco, scatenando una purga colossale non solo tra i militari, ma anche tra i funzionari dello Stato, nei media e nel mondo della cultura.
Una drastica opera di «normalizzazione» che continua a tutt'oggi sotto uno stato d'emergenza che consente a Erdogan di governare per decreti presidenziali e che ha visto quasi 40mila persone arrestate, 120mila funzionari licenziati (tra loro 30mila insegnanti e 4000 magistrati) e oltre 650 tra giornali e associazioni chiuse d'autorità.
Con la scusa della minaccia alla democrazia turca, Erdogan sta strangolando la democrazia turca. E con la scusa della minaccia terroristica curda sta scatenando una repressione senza precedenti contro lo scomodo partito d'opposizione che rappresenta democraticamente in Parlamento quella minoranza. Il carismatico leader dell'Hdp, Selahattin Demirtas, è stato arrestato lo scorso 4 novembre dopo una manifestazione di protesta contro le violenze dei militari nelle province curde, e a partire da domenica scorsa altri 118 deputati del suo partito lo hanno raggiunto in carcere: tutti accusati di complicità con il Pkk, movimento armato di stampo marxista autore di numerosi atti di terrorismo in Turchia in nome della causa indipendentista del Kurdistan.
Normalizzati esercito e Paese, schiacciata l'opposizione curda e marginalizzato all'opposizione il partito kemalista Chp, a Erdogan rimane un ultimo ostacolo da superare: trovare in Parlamento un alleato per raggiungere la maggioranza assoluta necessaria per approvare la riforma presidenzialista che lo incoronerà. Ma l'utile idiota è stato già trovato: è Devlet Bahçeli, leader degli ultranazionalisti di destra. Il suo partito Mhp non voterà la riforma in Parlamento, ma si è impegnato a lavorare per far convocare entro la prossima primavera un referendum per la sua adozione.
Entro maggio, dunque, è pressoché certo che Erdogan diventerà davvero il dittatore che ambisce essere: governerà sine die per decreti, nominerà i vertici militari e i rettori delle università. La figura del premier sarà soppressa e il Parlamento avrà funzioni di ratifica delle volontà del Capo. Pardon, del Sultano. E fine della storia.
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