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"Un errore tornare all'articolo 18. Sarà più difficile trovare lavoro". Intervista a Elsa Fornero

L'ex ministro: "Sull'occupazione si è imboccata la strada giusta. Bisogna capire cosa vuole il Pd: quella ricetta sarebbe inefficace"

"Un errore tornare all'articolo 18. Sarà più difficile trovare lavoro". Intervista a Elsa Fornero

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Un giudizio netto affidato ad un commento scritto per la Stampa: «È molto improbabile che il ritorno all'articolo 18 possa servire ad aumentare stabilmente e sensibilmente il nostro tasso di occupazione». Elsa Fornero ha un curriculum di primissimo ordine: economista, professore universitario, ministro del lavoro nel governo Monti - circostanza che, come è noto, l'ha trasformata in un bersaglio fisso degli strali salviniani - editorialista e volto televisivo. Dunque, le sue parole, sempre misurate, hanno un peso rilevante.

E lei sul punto ha idee precise e in controtendenza rispetto al mainstream della sinistra.

Professoressa Fornero, si schiera contro il referendum anzi i referendum?

«Una premessa. L'Italia ha imboccato la strada giusta rispetto al problema dell'occupazione».

Si riferisce al numeri record delle assunzioni negli ultimi mesi?

«Esatto. La dinamica è positiva. E questo ci fa ben sperare, ma naturalmente dobbiamo circoscrivere la nostra soddisfazione all'aspetto quantitativo».

Abbiamo più lavoratori, ma gli stipendi restano troppo bassi?

«Si allarga il mondo del lavoro, ma produttività e remunerazione restano indietro. Molti paesi europei hanno un passo diverso, noi purtroppo negli ultimi venti o trent'anni abbiano perso molte posizioni».

Arriviamo al referendum voluto dalla Cgil di Maurizio Landini e sottoscritto da Elly Schlein.

«Il referendum vuole ripristinare il vecchio articolo 18 che peraltro era stato modificato proprio ai tempi in cui ero ministro, nel 2012».

Una mossa per garantire i lavoratori?

«Temo di no. Il ripristino dell'articolo 18, quale che sia la versione scelta, renderebbe più difficoltoso, meno fluido, l'accesso al mondo del lavoro da parte di chi oggi è fuori. Rallenterebbe, secondo me, quei flussi importanti verso l'occupazione che abbiamo rilevato con soddisfazione negli ultimi tempi e, per dirla tutta, non so quanto proteggerebbe in più chi ha già un posto sicuro. Ma è il primo punto che mi preoccupa di più».

La separazione fra i protetti e gli esclusi?

«Si, credo che non aiuterebbe i secondi che invece premono per entrare in quel circuito virtuoso».

Quella del sindacati e del Pd è una battaglia ideologica?

«È una battaglia ad alto contenuto politico».

Schlein ci crede. Sbaglia?

«Dal suo punto di vista è coerente. Ma il punto è capire cosa vuole il Pd, o, meglio, che tipo di mercato vuole. Io vorrei un mercato del lavoro inclusivo e un ripristino dell'articolo 18 non credo favorirebbe l'inclusività e sarebbe inefficace sull'altro grande problema che è l'aspetto qualitativo del problema. Scarsa produttività media e salari inadeguati».

Come se ne esce?

«La produttività dipende dagli investimenti e dalla formazione della manodopera. Noi abbiamo molte piccolissime imprese poco efficienti le quali possono corrispondere soltanto salari bassi. Quel che serve è un robusto impegno finanziario, come abbiamo cominciato a fare con i fondi europei del PNRR. Bisogna inoltre investire in istruzione e formazione professionale. Penso al rapporto fra scuola e lavoro, da rafforzare, penso alle politiche attive e a un ruolo non burocratico dei centri per l'impiego. I centri per l'impiego dovrebbero stimolare la persona, spingerla a mettersi alla prova, metterla in relazione offerte formative e di impiego adeguate».

Il salario minimo?

«Sono favorevole, proprio per evitare lo sfruttamento del lavoro povero e delle persone più deboli».

Non pensa che la contrattazione sia uno strumento migliore, come sostiene il sindacato?

«Si, il sindacato privilegia la contrattazione collettiva, ma oggi ha una posizione più laica e aperta».

Ci sono imprese che non riescono a sostenere tutti i costi e le spese.

«Dove la fragilità è strutturale, c'è da domandarsi se abbia senso mantenere in vita l'impresa con sussidi che potrebbero essere utilizzati per creare lavoro vero produttivo e in grado di corrispondere salari migliori.

In ogni caso la battaglia del salario minimo mi pare molto più interessante».

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