Europa con Kiev, resta il nodo truppe

Starmer sprona i 27 a reagire. E Merz è pronto a togliere il freno ai conti pubblici

Europa con Kiev, resta il nodo truppe
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L'Europa corre ai ripari. O almeno ci prova. Visto il trattamento riservato al presidente ucraino ieri da The Donald, il Vecchio Continente, da spaesato, si prepara a mostrare una difficile compattezza. Il nuovo tentativo, per fronteggiare l'aggressività del nuovo corso trumpiano, viene da Londra; potenza nucleare, pronta a riabbracciare i 27 scongelando a tempo di record la Brexit almeno sulla cooperazione militare, a cinque anni dall'uscita dal consesso di Bruxelles. Reduce a sua volta da una tappa alla Casa Bianca, il premier britannico Starmer proverà domani a sistemare a suo modo il puzzle Ue, che da sola proprio non ce la fa a trovare una quadra. Né sulla creazione di un esercito comune né ad accordarsi su come difendere Kiev da pericoli odierni e futuri.

Ecco allora la Perfida Albione chiamare i Paesi a raccolta. Ma Starmer prima allarga il tavolo a 16: pure l'aspirante mediatore, la Turchia, alla riunione sulla difesa comune e sulla sicurezza dell'Ucraina, oltre agli Scandinavi e ai vertici Ue e della Nato. Poi lascia fuori le tre repubbliche baltiche, ex sovietiche ed esposte ai maggiori rischi. Con loro, fa sapere Londra, solo una videocall prima del summit. Una miccia che in serata fa sbottare un diplomatico che parla off the record di tradimento: «A Mosca penseranno che siamo stati venduti non solo dagli Usa, ma pure dal Regno Unito e dalla Francia».

Si ricomincia da capo, a Downing Street dopo la già inefficace azione dell'Eliseo; Macron è fermo all'idea di truppe da spedire in Ucraina, ma in avanzato stato di intese con Berlino per la riaccensione del motore franco-tedesco. Il cancelliere in pectore Merz ha visto il francese ed è pronto a togliere il freno ai conti pubblici per gli investimenti in Difesa. E seppur prima di aprile il conservatore difficilmente avrà il portafoglio in mano, a Londra il messaggio troverà la strada spianata dall'Italia, pronta ad alzare la sua percentuale di Pil al 2%. Londra propone una «banca per il riarmo» che non guardi ai confini «di Bruxelles» ma a quelli geografici dell'Europa.

La Russia, per gli sherpa, è una minaccia. E anche se Putin è stato sdoganato dall'azione di Trump, e allarma l'ipotesi fatta ieri da Mosca di riaprire perfino i collegamenti aerei tra Federazione e States, nessuno tra i 27+1 nega che si debba esser pronti. Non solo per potenziali assalti militari, ma pure cibernetici e sottomarini, oltre quelli legati a ingerenze politiche e alla disinformazione già in atto. Nel frattempo c'è da fermare una guerra di invasione. E da tamponare l'arroganza di Trump. Macron ricorda: «C'è un aggressore russo, bisogna rispettare chi lo combatte fin dall'inizio». Il premier spagnolo Sánchez ribadisce: «Ucraina, la Spagna sta con te». La Polonia, presidente di turno del Consiglio dell'Ue, si rivolge a Zelensky: «Cari amici ucraini, non siete soli», scrive su X il premier Tusk.

Impegni concreti (e comuni) sulla difesa servirebbero quanto prima anche per proiettare l'Ue come soggetto «politico» nel futuro tavolo di trattative in vista del Consiglio europeo straordinario del 6 marzo, quando i 27 ospiteranno Zelensky.

Riarmarsi. Pagare. Programmare. Agire. Sempre più da soli, visto che gli Usa sembrano pronti a disimpegnarsi dall'Europa con la stessa velocità con cui The Donald ha costretto Zelenksy a lasciare la Casa Bianca.

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