Neanche tre mesi fa, affidandosi a previsioni troppo ottimistiche, c'era chi ipotizzava l'avvio di una vera e propria onda di destra sull'Europa. Sarebbe dovuta partire dalla Spagna (si è votato il 23 luglio) per poi passare in Polonia (alle urne domenica scorsa) e infine abbattersi sulle Europee di giugno 2024, magari arrivando a condizionare la nomina del prossimo presidente della Commissione Ue.
Niente di tutto questo. In Spagna c'è stato il doppio flop della destra di Vox e del leader del Pp Alberto Núñez Feijóo, che contro tutte le previsioni non è riuscito ad ottenere la maggioranza per fare un governo. Mentre a Varsavia l'annunciato crollo del Pis di Jaroslaw Kaczynski non è stato compensato dai voti della destra radicale filorussa di Konfederacja. Il partito del premier Mateusz Morawiecki mantiene sì il primato (e quasi certamente avrà l'incarico esplorativo dal presidente polacco Andrzej Duda, anche lui del Pis), ma sono i partiti di opposizione guidati dalla Ko del popolare Donald Tusk ad avere i numeri in Parlamento per dar vita ad un nuovo governo. Un quadro incerto e instabile, con Kaczynski che nelle prossime settimane farà di tutto per fare scouting all'interno del Psl (i Popolari polacchi) alla ricerca di quelli che qualche eurodeputato italiano ha già ribattezzato i «responsabiloski». Se riuscirà nell'improbabile impresa lo scopriremo tra qualche tempo, ma il dato politico ineccepibile resta: dopo il fiasco inatteso di Vox in Spagna, il Pis non solo viene fortemente ridimensionato, ma molto probabilmente dovrà lasciare la guida del governo al suo principale oppositore, il filo-europeista Tusk. Uno scenario che con ogni probabilmente decreterebbe la fine politica di Kaczynski (e quindi anche del «suo» Pis).
Le ricadute sugli equilibri interni all'Ue già si iniziano a cogliere scorrendo le dichiarazioni degli esponenti dei vari partiti. Festeggia il Ppe, perché Tusk è legato a doppio filo con il leader del Partito popolare europeo, Manfred Weber, e il suo successo per certi versi inatteso inciderà a Bruxelles sugli equilibri tra il Ppe e i Conservatori riformisti di Ecr. Che dopo Vox, assistono al tracollo del Pis, uno dei fondatori della famiglia europea di cui Giorgia Meloni è presidente dal 2020. Non è un caso che ieri i parlamentari di Fdi abbiano scelto di non commentare il risultato del voto in Polonia (a parte una dichiarazione, immaginiamo per buona educazione, del coopresidente del gruppo Ecr, Nicola Procaccini, che ha fatto i «complimenti» al Pis per «il successo» di essere arrivato primo partito). È evidente, infatti, che i Conservatori escono molto indeboliti dalla doppia tornata elettorale in Spagna e Polonia. Con grande soddisfazione non solo del Ppe, ma anche di Identità e democrazia (il gruppo sovranista di cui fa parte la Lega, Rn di Marine Le Pen e l'ultra destra tedesca di Afd).
In prospettiva Ue, il risultato del voto in Polonia è quello di rilanciare ulteriormente una riedizione della cosiddetta «maggioranza Ursula» dopo le Europee. Il presidente della Commissione, infatti, viene sì eletto dal Parlamento Ue a maggioranza assoluta, ma è prima indicato dai capi di governo dei 27 (che devono rappresentare almeno il 65% degli abitanti dell'Unione). Insomma, se dopo l'Italia (terzo Paese Ue in quanto a popolazione), anche Spagna (quarto) e Polonia (quinto) fossero stati a trazione centrodestra o destra, il tradizionale e indissolubile asse franco-tedesco avrebbe comunque dovuto tenere in considerazione indicazioni alternative.
Così non sarà e l'ipotesi di un bis di Ursula von der Leyen prende sempre più piede. Peraltro, anche Meloni - premier di uno dei tre Paesi dell'Ue che fanno parte del G7 e presidente di turno del forum intergovernativo proprio quando si voterà per la Commissione - non potrebbe che sostenerla.
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