Gli ex "minorati" del Pd si godono la rivincita E la scissione si avvicina

Emiliano predica unità, D'Alema dà consigli. Ma la direzione slitta e lo scontro è inevitabile

Gli ex "minorati" del Pd si godono la rivincita E la scissione si avvicina

Bisogna conoscerlo fin nei precordi, questo Pd giunto alla fase della «muta» e alle soglie di una bipolarità patologica che ne contraddistingue la natura fin dai natali. Così che l'euforia trattenuta della sinistra-dem per lo scossone a Re Matteo («È stata sconfitta una parte del partito - giganteggiava D'Alema -, come quando fa gol un ex, non si esulta... Questione di stile») si confonde con l'ansia e scenari non proprio rosei.

Slitta a domani la Direzione convocata per oggi: Renzi sfoglia la sua margherita d'odio verso il Paese che non l'ama, non ha ancora deciso, vuol farsi pregare dai cortigiani della cerchia ristretta (Lotti, Nardella) che lo implorano di «ripartire dal 40 per cento». Il che, tradotto, significa nascita del partito di Renzi. Mai scissione fu più vicina, allora, anche se paradossalmente dipenderà dalle mosse future del Capo se avverrà a destra, con i renziani che incredibilmente trasmigrano nelle vallate del centro; oppure a sinistra, con Renzi che resta a gestire la crisi nel Pd, tiene a freno la rabbia, ne continua a cambiare le insegne, e costringe gli ex «minorati» (così li chiamavano le sue vestali) fin sull'uscio del Nazareno. Nel cui corridoio, come ha accertato finalmente Bersani, c'è «un toro», non una mucca. Fuori di metafora: la gente è davvero incazzata con il Pd.

Sarà perciò guerra di trincea, quella che comincia, a chi raccoglie le spoglie pidine. L'ex carro del Triumphator sembra diventato un carretto di lebbrosi, e tali paiono ormai alcuni pasdaràn renziani, sfibrati dal germe. Si riaffaccia l'era del grande centro doroteo, di cui fa parte un ex segretario i cui piani sono tra i meno appariscenti e leggibili, ma i meglio congegnati, cioè Dario Franceschini, che si gioca le carte tra Nazareno e Palazzo Chigi. Altri punti di leadership e mediazione sorgono tra il fondatore dei Giovani turchi, Andrea Orlando, alleato «forte» di Renzi, e il governatore pugliese Michele Emiliano, a metà strada tra populismo e (da ieri) mediazione responsabile. «È il momento della riconciliazione», predica. Nessuno degli oppositori chiede le dimissioni del segretario, tutti sembrano rimettersi alle sue decisioni, con accenti diversi al mito dell'«unità» di tradizione Pci (Gotor, Boccia, Speranza). Tramonta tra qualche sospiro la stellina-Cuperlo, che dopo tanto tremolare è caduta nel campo dei perdenti (non è la prima volta che gli capita).

Ma conservare un po' di memoria storica, nella storica giornata di rivincita e orgoglio dei Rottamati che, come dice un D'Alema tornato ai massimi livelli, hanno «dato filo da torcere a un segretario che si credeva onnipotente», significa anche rivedere in piena il fiume dalemiano, i «noi rottamati ai quali non è stata concessa neppure una disonorevole sepoltura, e abbiamo dimostrato di essere in grado di combattere». Sereno il consiglio, Renzi «sia meno fazioso: uno che ha preso tre-quattro sberle si ferma a ragionare». Non vuole competere a nulla, l'ex segretario, «tocca a una nuova generazione». Rivendica solo un diritto d'opinone, che torna ad aver corso legale e pesare. L'oltracotante Matteo avrebbe dovuto dimettersi dopo le Amministrative, dice, «sarebbe stato più ragionevole».

A quelle da leader del Pd, anche D'Alema non crede: «Dovremmo fare il congresso ora, in un clima avvelenato». Rimettere in sesto il partito, recuperare elettori, altrimenti sarà la fine per tutti. Filistei compresi. Perché Sansone, in fondo, se l'è proprio cercata.

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