Si cerchi un accordo per chiudere, 35 anni dopo, il giallo della schedina fantasma. Federico Salvati, giudice in servizio al Tribunale Civile di Roma, il suo suggerimento l'ha messo nero su bianco, dandogli veste di ordinanza. Conta così di sbrogliare l'aggrovigliata matassa in cui s'è trasformata la vita di Martino Scialpi, commerciante ambulante di Martina Franca (nel Tarantino), che da più d'un trentennio insegue il sogno di diventare miliardario, appresso a quella giocata vinta ma mai registrata negli archivi del Coni e perciò non pagata. La storia comincia in un tempo ormai lontano, quando il Totocalcio era ancora una passione nazionale, si vinceva col 13 e ci consolava col 12 e le partite le raccontava la radio. Una domenica del 1981 Scialpi tenta la sorte: ha in tasca una schedina compilata in una ricevitoria di Ginosa. Due colonne, perché di soldi per scommettere non ne ha più di tanti. La giornata di campionato è quella del primo novembre. La Juve di Trapattoni, reduce da sei vittorie consecutive, affronta in casa la Roma di Nils Liedholm e, pur se data per favorita, ci lascia le penne grazie ad una prodezza di Falcao. Il Napoli fa pari e patta con l'Avellino al San Paolo, il neo promosso Milan busca tre goal dal Catanzaro. In serie B invece sono i successi esterni di Perugia e Catania, rispettivamente ai danni di Palermo e Lazio, a sconvolgere i pronostici.
Alla fine, in tutta Italia solo in 5 azzeccano il filotto dei risultati. In moneta, fa un miliardo del vecchio conio a testa. Ma per Scialpi non c'è una lira. Della sua schedina non si trova traccia. «Matrice non rinvenuta nell'archivio corazzato», spiega telegrafico il Coni. Un'indagine interna attribuisce lo smarrimento «alla caduta accidentale del blocchetto contenente la schedina, con il conseguente inspiegabile e increscioso accaduto». Una seconda relazione riconduce lo smarrimento ad una «sottrazione ad opera di terzi». Per questo il commerciante pugliese finisce addirittura imputato di furto, prima d'essere assolto, nel 1987, con formula piena. Nelle aule di giustizia anche il Comitato olimpico se la cava con destrezza: prima il Tribunale di Roma nel 1983, poi la Corte d'Appello due anni più tardi, respingono le pretese del miliardario mancato, che si vede anche negare dalla Cassazione, per tre volte, la revocazione della sentenza sfavorevole, passata intanto in giudicato. Nel 2012 un lampo: Scialpi ottiene il visto del Tribunale su un provvedimento esecutivo da più di 2 milioni di euro a titolo di risarcimento, ma nel giro d'un mese una pronuncia di segno opposto cancella la svolta. Abbastanza per tramortire un elefante. Non il commerciante testa dura, che adesso, insieme al suo avvocato Guglielmo Boccia, se non altro è riuscito a riaprire la contesa. Con quell'invito alla conciliazione notificato a lui e al numero uno del Coni, Giovanni Malagò, per l'udienza del 10 febbraio 2016.
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