Il fantasma di Mussolini (non) spaventa Salò: "Fa parte della storia"

Il Consiglio comunale deve votare sulla revoca della cittadinanza al Duce. La gente: roba vecchia

Il fantasma di Mussolini (non) spaventa Salò: "Fa parte della storia"

Un'ombra aleggia sul golfo di Salò, un fantasma che minaccia - dicono - un angolo di Garda perfetto, pulito, ordinato, che non si scompone nemmeno se tira vento. Le folate fanno turbinare foglie e cartacce, ma sul lungolago nulla volteggia perché il selciato è lustro come il pavimento di casa. O la gente di qui ha il Nobel dell'educazione civica, o i netturbini sono primatisti del pronto intervento. Sarebbe uno spicchio d'Italia incontaminato, se non fosse per quei 20 mesi tra il 1943 e il '45, 20 mesi più pesanti di 20 anni. Anzi, del Ventennio, con la maiuscola.

Lo spettro che si aggira per Salò non è quello del comunismo, come scrissero Marx ed Engels, ma del suo opposto. Quello del fascio, di Benito Mussolini, della Repubblica sociale italiana insediatasi in questa insenatura dopo l'8 settembre. Strano destino, quello di Salò. La Rsi non ebbe una Costituzione né una capitale. Il duce se ne stava 20 chilometri più a nord, a Gargnano, dove si riuniva il governo e aveva sede pure il comando tedesco. I ministeri erano sparsi in mezzo Nord Italia, da Cremona (Giustizia) a Venezia (Lavori pubblici). A Salò invece, a parte il ministero degli Esteri, era concentrato il dipartimento della propaganda: il Minculpop (ministero della Cultura popolare) con Giorgio Almirante capo di gabinetto, l'agenzia di stampa Stefani e le postazioni dei giornali accreditati. Le note di regime e i dispacci della Stefani cominciavano con l'intestazione «Salò comunica», «Salò dice», «Salò informa». E così la Rsi fu la Repubblica di Salò.

Nel 1924, quando l'Italia intera faceva a gara per propiziarsi Mussolini, anche Salò conferì la cittadinanza onoraria al duce. Oggi un conformismo uguale e contrario la vuole cancellare, come già altrove. Il consigliere di minoranza Stefano Zane ha presentato una mozione che il Consiglio comunale discuterà domani sera. Quattro ex sindaci si sono accodati: «Il Consiglio comunale deve prendere una decisione unanime e condivisa» contro chi calpestò i diritti umani. I quattro non sapevano della cittadinanza onoraria. Non se n'era accorto nemmeno un altro sindaco di Salò, Francesco Zane, che di Stefano Zane era il nonno e fu partigiano e senatore Dc per tre legislature. E se lo sapeva, non gli era importato molto.

Seduti sotto il portico del municipio, un tempo Palazzo della Magnifica patria, alcuni anziani discutono senza passione. «Non vedo il problema», dice uno. «Cosa vai a rivangare Mussolini», biascica un altro. «La Rsi fa parte della storia», aggiunge un terzo. E se gli chiedi se vedano il rischio di un ritorno del fascismo, ti guardano come se davanti avessero un marziano. Il perché lo spiega Paolo Rossi, proprietario dell'hotel Bellerive e soprattutto del Laurin, lo splendido edificio liberty che ospitò il ministero degli Esteri della Repubblica sociale, nonché presidente di Federalberghi Brescia e Lombardia: «A Salò non ci sono mai stati estremismi, nemmeno in tempo di guerra. Qui la guerra nemmeno arrivò. I miei nonni, che erano di Gardone, mi raccontavano che anche là era tutto tranquillo. Del resto, i tedeschi piazzarono Mussolini a Villa Feltrinelli proprio perché queste erano zone al riparo da attacchi aerei. Le polemiche di oggi mi paiono pretestuose, vogliono dare alle cose un significato che non hanno. Non si fa così l'antifascismo».

Paradossalmente, della Rsi bisognerebbe parlare di più. All'Infopoint turistico svelano che esiste un certo interesse per i luoghi mussoliniani accompagnato da molta ignoranza: qualcuno chiede dov'è la casa del duce (che era a Gargnano), dove viveva la Petacci (a Gardone), dove sono stati ammazzati (sul lago di Como) e addirittura dov'è la tomba (a Predappio). Ma Salò non è Predappio, non ci sono mausolei, marce, souvenir, nulla. Solo 50 anni dopo la fine della guerra Marzio Tremaglia, da assessore lombardo alla Cultura, fondò un Centro studi sulla Rsi con un centro di documentazione che fu il primo nucleo del Musa, il Museo di Salò, e ora ne rappresenta una piccola sezione. Il professor Roberto Chiarini, storico bresciano, da presidente del Centro studi ha fatto collocare alcune targhe illustrative davanti a una quindicina di luoghi simbolo della breve stagione mussoliniana, da Villa Amadei (Minculpop) al municipio (ufficio interpreti): qualche anno fa il Fondo per l'ambiente italiano vi organizzò una visita. Fine della presenza pubblica della Rsi a Salò.

«Il fascismo si combatte studiandolo e prendendone le distanze dal punto di vista storico, non propagandistico - dice Chiarini - C'è una polemica analoga a Brescia, dove il duce fece erigere la statua del Bigio, il maschio nudo fascista, e ora molti non lo

vogliono ricollocare in piazza Vittoria dopo il restauro. A Brescia tutti i tombini portano il simbolo del fascio. Fare i conti con il passato è un vecchio problema. Ma la verità è che l'Italia non tornerà fascista mai più».

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