Carlo Calenda, lei è stato il primo (e unico) leader dell'opposizione a proporre un dialogo col governo sulla vostra proposta di salario minimo, e a esprimere soddisfazione quando Giorgia Meloni lo ha convocato. Perché?
«Perché sono 30 anni ormai che la politica italiana produce solo rumore, un gran rumore. Mentre invece sui problemi reali del Paese - dalla sanità ai salari - bisogna trovare il modo di sedersi attorno a un tavolo, ragionare in modo pragmatico e, se possibile, trovare soluzioni concrete».
E lei spera davvero che venerdì succeda esattamente questo?
«Guardi, io sono realista: credo e temo che ci sia un 10% di possibilità che esca qualcosa di positivo. Ma credo anche che quel 10% valga almeno un tentativo. Se no continuiamo a far chiasso, e poi quando anche questo governo sarà finito ci toccherà cercare un adulto che metta a posto la situazione. Con il problema notevole che, ahinoi, i Draghi ormai sono finiti».
I suoi colleghi di centrosinistra però non sembrano entusiasti del tavolo agostano convocato da Meloni.
«Chiaro: una parte di opposizione preferisce di gran lunga che la proposta di salario minimo venga bocciata e basta, per farci una bella campagna sopra. Allo stesso modo, la Meloni e FdI hanno enormi difficoltà ad ammettere che anche loro, quando erano minoranza, proponevano il salario minimo per legge, ma ora che han cambiato ruolo sono contrari. È il solito eterno gioco: se sei al governo e l'opposizione fa una proposta, è sbagliata per definizione. Quando poi sei tu all'opposizione, la rilanci. È il caso dell'abuso di ufficio: i sindaci Pd ne hanno chiesto per anni l'abolizione, ma siccome ora la propone Meloni il Pd dice niet. E così Fdi sul salario minimo, a parti invertite. C'è un'unica cosa su cui vanno d'amore e d'accordo».
Quale?
«La tassazione degli utili giudicati eccessivi delle banche. Una misura di purissimo populismo economico, ma ormai quella è la cifra di quasi tutti, a destra come a sinistra. Bisognerebbe riscrivere l'articolo 1 della Costituzione: l'Italia è una repubblica fondata sul populismo economico».
Eppure la Meloni la difende appassionatamente, nonostante l'esito pesante sui mercati, e Pd e M5s strillano che i primi a proporlo sono stati loro.
«Eh, già: si litigano la paternità di una misura che produrrà soltanto una contrazione del credito e di certo non aiuterà nessuno, tanto meno chi è in difficoltà col mutuo, che andava sostenuto in ben altro modo. Bastava sospendere il rimborso della quota capitale, come già fatto in altre occasioni. Invece hanno fatto un provvedimento ad minchiam, e quando si accorgeranno che è controproducente sarà già tardi».
Il ministero dell'Economia ha già dovuto correggerlo.
«Bastava vedere il fatto che proprio Giorgetti, non si era presentato alla conferenza stampa su una misura tutta economica per intuire il problema. Lo slogan del ministro dell'Economia sembra sempre più: io non c'ero, e se c'ero dormivo».
Calenda, torniamo al tavolo di venerdì sul salario minimo: oggi la premier ha ribadito il suo no.
«Un'esternazione sbagliata nel merito e nel metodo: se dici vi incontro ma sono contraria a prescindere regali all'opposizione il destro per dire che ogni dialogo è inutile. E si torna al puro scontro teatrale e sterile tra tifoserie».
Del resto ieri Elly Schlein ha detto che al tavolo vuol parlare di Marcello De Angelis.
«Già. E perché non del monofisismo, ossia l'annoso problema della coincidenza tra Dio e Gesù, a lungo dibattuto tra ariani e ortodossi? Sarebbe ora di fare tutti gli adulti, e discutere delle risposte da dare al paese. Il centrosinistra non ha i voti per il salario minimo, se un pezzo di maggioranza non coopera.
Sarebbe un errore madornale se Partito democratico e Movimento Cinquestelle si richiudessero in una trincea per accusare Meloni e viceversa, per poi andare in piazza senza risolvere il problema. Ma vuoi mettere il divertimento?»
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