"Una favoletta la trattativa Stato-mafia"

Attesa per oggi la sentenza della Corte d'Assise di appello di Palermo

"Una favoletta la trattativa Stato-mafia"

Senza esagerare si può dire che sarà una sentenza epocale quella che i giudici della Corte d'Assise d'appello di Palermo pronunceranno oggi pomeriggio, dopo tre giorni e tre notti di clausura trascorsi in camera di consiglio. Perchè se confermeranno la sentenza di primo grado nel processo sulla trattativa Stato-Mafia, certificheranno che per la giustizia le istituzioni di questo paese sono scese a patti con la organizzazione criminale più potente del paese. Ma se invece dovessero arrivare le assoluzioni chieste dalle difese, vorrà dire che per oltre dieci anni la Procura di Palermo ha inseguito una «favoletta» - come l'hanno definita gli avvocati - infangando senza motivo servitori dello Stato vivi e morti.

La Corte presieduta dal giudice Angelo Pellino è in camera di consiglio da lunedì. All'ultima udienza, dedicata alle repliche, si era presentato uno solo degli imputati, l'ex senatore Marcello Dell'Utri, condannato in primo grado a dodici anni di carcere: «Mi sento come un turco a una predica, non capisco niente di quello che dicono», aveva commentato. Dell'Utri è accusato di avere veicolato minacce e richieste di Cosa Nostra a Silvio Berlusconi. E il suo difensore Francesco Centonze ha rimarcato come nella sua requisitoria il rappresentante dell'accusa avesse usato toni inaccettabili verso il Cavaliere: «Non avevo mai sentito una pubblica accusa ironizzare e dileggiare la vittima di un reato. Berlusconi non gode dell'apprezzamento della Procura generale di Palermo e lo manifesta in una pubblica udienza, in un processo in cui Berlusconi è vittima».

Oltre a Dell'Utri, le condanne più pesanti in primo grado erano andate agli ex generali dei carabinieri Mario Mori e Antonio Subranni, dodici anni anche loro; otto per l'ex colonnello Giuseppe De Donno. Sul fronte mafioso, l'unico boss processato e condannato era stato Leoluca Bagarella, pluriergastolano, che si era visto infliggere ventotto anni di carcere.

Sulla decisione odierna pesa un precedente ingombrante: perchè l'ex senatore dc Calogero Mannino, indicato dalla Procura come l'intermediario tra Cosa Nostra e i carabinieri e processato a parte, è stato assolto in pieno, con una sentenza che ha smentito alla radice i teoremi della procura palermitana. E d'altronde anche il generale Mori è stato già processato insieme all'ufficiale Sergio De Caprio per la mancata perquisizione del covo del boss Totò Riina: altro tassello, per i pm palermitani, degli accordi occulti tra Stato e mafia. Anche lì assoluzione piena.

Ma la procura di Palermo ha proseguito senza tentennamenti, e nell'aula d'appello ha chiesto la conferma

integrale delle condanne emesse in primo grado: «La celebrazione del presente giudizio ha ulteriormente comprovato l'esistenza di una verità inconfessabile, di una verità che è dentro lo Stato, della trattativa mafia-Stato».

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