Adesso, con Omicron a seminare incertezza, ai mercati non basta più nemmeno la Federal Reserve. Come se la coperta di Linus con impressa la faccia di Jerome Powell si fosse fatta corta e molto meno rassicurante. Appena riconfermato alla guida della banca centrale da Joe Biden, il dottor «Jaykyll» si è trasformato ieri in Mr. Hyde davanti alla commissione bancaria del Senato: «Discuteremo di accelerare il tapering nella riunione di dicembre». Nel mezzo della tempesta, la Fed sta pensando quindi di rafforzare il taglio degli acquisti di asset, finora tarato sui 15 miliardi al mese, allo scopo di azzerare prima del previsto - giugno 2022 - il piano da 120 miliardi. Muovendosi, di fatto, in direzione contraria rispetto alle attese dei mercati. Convinti che, a causa delle incognite legate alla mutazione del virus, Eccles Building avrebbe ritardato la rimozione degli stimoli e innescato un effetto collaterale inevitabile: il rinvio della prima stretta sui tassi. I mercati prezzavano infatti il primo rialzo non prima del prossimo settembre. Powell ha invece sparigliato le carte con una mossa accolta da Wall Street col classico pollice verso, costato subito al Dow Jones una picchiata di 500 punti, una perdita dell'1,6% a un'ora dalla chiusura e l'immediata risalita dei rendimenti obbligazionari. In precedenza, a conferma che le ferite lasciate dal Black Friday restano aperte, l'Europa aveva lasciato sul terreno lo 0,61% (-0,87% Milano) nonostante il vicepresidente della Bce Luis de Guindos avesse ribadito che «non andremo avanti con il tapering come ha fatto la Fed. Gli acquisti netti termineranno a marzo, ma potrebbero essere ripresi se necessario».
La Fed che si scopre falco in un momento delicato come questo, in cui le parole andrebbero dosate col bilancino del farmacista e alla vicepresidenza è stata nominata una colomba a tutto tondo come Lael Brainard, ha colto tutti in contropiede. Ma una ragione c'è: come folgorato sulla via di Damasco, Powell dice che «è ora di non parlare più di inflazione transitoria». Dopo mesi in cui il refrain della transitorietà del fenomeno era risuonato in ogni occasione, il leader dell'istituto di Washington ha scoperto che il carovita è il convitato di pietra capace di far deragliare la ripresa. Perfino più di Omicron, che pure potrebbe «ridurre la disponibilità delle persone a lavorare in presenza, rallentando i progressi sul mercato del lavoro e intensificando i problemi nelle catene di approvvigionamento». La Fed constata però che «è aumentata la minaccia di un'inflazione persistentemente più alta» e non si fida del calo delle quotazioni del petrolio, in caduta anche ieri (-5,6% il Wti, a 66 dollari; -5,24% il Brent, a 69 dollari). Del resto, fra qualche giorno, l'Opec+ potrebbe decidere di annullare il previsto aumento produttivo di 400mila barili al giorno.
Powell ha così attraversato il suo Rubicone: «I dati di novembre su inflazione, salari, consumi mostrano che a questo punto l'economia americana è molto forte e le pressioni inflazionistiche molto alte.
Perciò, secondo me, sarebbe appropriato considerare di concludere il tapering dei nostri acquisti di asset... forse qualche mese prima».Sempre che Wall Street, come già accaduto in passato, non gli faccia cambiare idea in fretta.
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