È una vita che Re Felipe si prepara, studia, aspetta. E para gli attacchi dal giorno del suo insediamento. I separatisti sono sempre stati una spina nel fianco per i monarchi. È stato così per suo padre re Juan Carlos, lo è adesso per lui. Il re con il trono più traballante d'Europa. A lui il compito e la responsabilità di tenerlo insieme questo regno con l'ambizione di sgusciare via, che spinge sempre un po' più in là, con il vizio di disobbedire, di andare contro. «Comincia il regno di un re costituzionale», aveva dichiarato durante il suo discorso di insediamento.
Ma non tutti avevano applaudito e sorriso. Inigo Urkullu, il capo del partito nazionalista basco e l'allora presidente della Catalogna, Artur Mas erano rimasti immobili e di pietra. Non un sorriso, braccia conserte, l'uno accanto all'altro. Ben più di un avvertimento per Felipe salito al trono in un periodo difficile, fatto di scontri e tensioni. Non a caso il suo primo atto pubblico, pianificato da tempo, è stato andare in giro per la Catalogna a stringere mani. Niente di meglio per conoscere i problemi in una terra di separatisti e repubblicani. Mix esplosivo per il monarca.
Era il 2014 e tante sfide si intravedevano già all'orizzonte per lui: la coesione dello Stato prima di tutto, la riforma delle istituzioni, a partire proprio dalla Costituzione. Difenderla sopra tutto, facilitare il dialogo tra il premier Rajoy e il presidente della Generalitat catalana. È una vita che il re si prepara. E ha poche armi a disposizione: la sua preparazione, fin dalla nascita, e la sua parola. Oggi il giorno della sfida è arrivato. E lui lo ha sentito arrivare. La Catalogna digrigna i denti, la terra nemica, che lo ha fischiato anche nel giorno del grande lutto, in fila a modo e per bene per le vittime di un attentato vigliacco, quando un camion ha falciato i passanti su Las Ramblas. La cartolina per i turisti che arrivano a Barcellona. Il cuore della città lacerato. Era il 17 agosto ed era il tempo del raccoglimento e del dolore. Del lutto e del silenzio. Tra i morti anche due italiani. Eppure anche quel giorno della memoria la rabbia catalana aveva vinto su tutto. E tra le lacrime e la commozione erano partiti i fischi a Felipe, al regnante che per primo aveva deciso di partecipare a una manifestazione di massa.
Sa che il tempo adesso è il suo, che la figura a cui gli esponenti più sensati dei quattro grandi partiti nazionali invocano è la sua. Lui oggi è chiamato a salvare l'unità nazionale. A lui il compito delicatissimo di favorire l'apertura di un processo costituente, promuovendo l'elezione di un'assemblea che scriva un nuovo patto federalista. Da settimane Felipe ha cancellato impegni e appuntamenti, da ieri fino al giorno 8 si concentrerà sull'emergenza Catalogna. Via tutto, priorità assoluta alla questione Barcellona, ha cancellato la sua consueta partecipazione al Congresso delle imprese familiari di Toledo di fronte all'emergenza politica in corso.
Già per questo motivo il re aveva rinunciato a recarsi a New York per l'assemblea Generale dell'Onu, rimanendo «in contatto permanente» con Rajoy. Era il 13 settembre quando aveva registrato un video per la nazione per dire ufficialmente quello che tutti già sapevano. Che il monarca è contrario al referendum di auto-determinazione. «I diritti di tutti gli spagnoli saranno tutelati» ha detto, «di fronte a coloro che si situano al di fuori della legalità costituzionale».che la costituzionale «prevarrà su qualsiasi attacco contro la convivenza e la democrazia». Le cose poi sono andate diversamente. Il pugno di ferro è diventato un pugno in faccia alla gente, signore con facce insanguinate e ragazze con le dita spaccate.
Immagini che fanno male, che complicano tutto - se possibile- ancora di più. Per ora il sovrano è rimasto sapientemente in silenzio, in contatto con Rajoy.Ma ora il tempo per questa attesa sembra scaduto. Felipe si prepari e metta a frutti i suoi anni di studio.
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