Fermato e ucciso un altro nero. La protesta dagli Usa al mondo

Nuovo video: la polizia picchia un afroamericano. Marcia a Washington, Casa Bianca blindata. Cortei in 4 continenti

Fermato e ucciso un altro nero. La protesta dagli Usa al mondo

New York L'America torna a scendere in piazza per George Floyd. A guidare il paese nel secondo weekend di proteste per l'uccisione dell'afroamericano a Minneapolis è la capitale Washington, dove ieri decine di migliaia di persone sono scese in piazza per manifestare contro il razzismo e contro l'abuso della forza da parte della polizia, ma anche contro la minaccia di Donald Trump di ricorrere all'esercito per placare i disordini. A marciare nel nome di Floyd, però, è il paese intero, da New York a Los Angeles, da Seattle a Philadelphia. Nei 12 giorni dalla sua morte i manifestanti sono scesi in strada in oltre 650 città di tutti e i 50 stati americani. Ma è tutto il mondo a unirsi alle dimostrazioni, con marce in Germania, Gran Bretagna, Francia, Canada, Australia, Corea del Sud e Giappone.

Il corpo di Floyd, invece, è stato portato nei giorni scorsi a Raeford, in North Carolina, dove è nato, e dove ieri è stata allestita la camera ardente e si è tenuta una cerimonia privata per la famiglia. Cerimonia analoga a quella in programma domani a Houston, in Texas, dove il 46enne è cresciuto e ha vissuto gran parte della sua vita prima di trasferirsi cinque anni fa in Minnesota. Martedì, infine, nella stessa città si terrà un funerale con 500 persone a cui prenderà parte anche il candidato democratico alla Casa Bianca Joe Biden, mentre non dovrebbe esserci il presidente Trump.

E proprio il Comandante in Capo è tornato sulla questione manifestazioni su Twitter: «Non inginocchiatevi», ha scritto a proposito del gesto simbolo di chi manifesta contro il razzismo e la violenza della polizia. Un gesto nato sui campi di football americano come forma di protesta da parte di alcuni giocatori, viene visto dal tycoon come irriverente contro l'inno nazionale e la bandiera. A suo parere, infatti, «ci sono molti altri modi per protestare». Mentre il numero uno della Nfl, la lega professionistica di football americano, ha chiesto scusa ai giocatori per non aver ascoltato prima le loro preoccupazioni sulla questione razziale negli Usa: «Abbiamo sbagliato», ha detto. In un video Roger Godell ha offerto le sue condoglianze alle famiglie delle vittime della brutalità della polizia, ammettendo di non aver ascoltato abbastanza i campioni che protestavano pacificamente. A partire da Colin Kaepernick, il quarterback dei San Francisco 49ers diventato famoso per il suo gesto di inginocchiarsi durante l'inno nazionale prima di ogni partita.

Intanto, ad infiammare nuovamente gli animi, è l'ennesimo drammatico video che mostra un afroamericano morto dopo essere stato fermato da alcuni agenti a Tacoma, nello stato di Washington. L'episodio risale al 3 marzo e la vittima si chiama Manuel Ellis. L'uomo sarebbe stato all'improvviso scaraventato a terra, quando gli agenti hanno continuato a infierire, mentre per la polizia è stato lui ad aggredire i poliziotti. A girarlo - secondo il New York Times - è stata una donna che si trovava dietro alla macchina della polizia e che si sente urlare: «Smettetela di colpirlo, o mio Dio smettetela!».

A Buffalo, invece, sono comparsi davanti a un giudice i due poliziotti accusati di aggressione e sospesi dal servizio per aver scaraventato a terra e ferito gravemente un

manifestante 75enne. I due si sono detti non colpevoli e sono stati rilasciati senza fissare alcuna cauzione. Dopo la loro sospensione, 57 colleghi del dipartimento di polizia di Buffalo si sono dimessi in segno di solidarietà.

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