In questi tre anni e mezzo di presidenza, Sergio Marchionne aveva chiesto tante cose alla Ferrari. E tutte alla sua maniera: sparando missili verbali in pieno viso ai propri uomini. Per cui delle due l'una: o questi le realizzavano o meglio fare armi e bagagli ed emigrare altrove. Diversi uomini di spicco sono andati via. Altri che non erano di spicco lo sono diventati. Erano quelli tenuti a freno dai capi emigrati. In Ferrari l'hanno chiamata organizzazione orizzontale e il risultato è stato italianizzare il Cavallino. Di tutte le cose chieste dall'ex presidente ed ex amministratore delegato la più importante, viscerale, a suo modo romantica era stata quella del settembre scorso, domenica tre, uscendo dal parco di Monza dopo aver assistito impotente alla doppietta vincente delle Mercedes. Il missile era partito così: «Oggi la Mercedes» aveva detto «è stata superiore alla Ferrari. Non potevamo fare niente... Oggi era quasi imbarazzante vedere la differenza tra noi e loro... Dopo la partenza eravamo tutti liberi di correre e la macchina non ce l'ha fatta. Si vedeva, ci prendevano quasi un secondo al giro, impossibile. Questa non è la Ferrari, bisogna raddoppiare l'impegno... Bisogna togliere il sorriso dalla faccia di questi qui. Mi stanno girando le balle».
Ieri, «questi qui» sorridevano ancora. E tanto. Sorridevano di gioia e di scampato pericolo. Perché per gran parte della gara la vittoria era rimasta saldamente in pugno a Sebastian Vettel e «questi qui» si stavano preparando alla disfatta. Di più: a provare la stessa rabbia che aveva infiammato Marchionne quasi un anno fa a Monza. Invece ad un tratto è arrivata la pioggia e poco dopo le Mercedes si sono involate verso il trionfo mentre la Ferrari di Vettel se ne stava insaccata in un muro di gomme.
Ci sono errori che i fuoriclasse non devono fare. Perché è nel dna del fuoriclasse avere nervi saldi per sapere che non si deve sbagliare quella gara se il proprio presidente o ex presidente sta lottando tra la vita e la morte. Quella gara va conquistata per dedicargliela. Quella gara non può finire contro un muro di gomme quando è in pugno. Il fuoriclasse, e purtroppo Vettel lo è solo a corrente alternata, deve soprattutto avere grande memoria. Non può dimenticare che mesi prima, umiliato in casa dall'armata motoristica über alles, Marchionne aveva chiesto di «togliere il sorriso dalla faccia di questi qui». Invece il ferrarista ha scordato tutto: il suo mondiale, la drammaticità del momento, l'importanza per la Ferrari di espugnare il Gran premio di Germania, la necessità di restituire ai tedeschi lo schiaffo preso in casa. Anche perché «questi qui» altri non sono che il presidente di Daimler e Mercedes, Dieter Zetsche. È il baffuto germanico che si scorge spesso ai Gran premi, soprattutto in quelli dove la Mercedes parte favorita. Ieri, poco prima della gara aveva detto «ho sentito Sergio dopo l'intervento, pareva fosse andato tutto bene. Leggere il comunicato di John Elkann mi ha scioccato. Sono molto addolorato...». Aggiungendo: «Con Marchionne ho sempre avuto un ottimo rapporto di stima e di amicizia che va al di là delle realtà industriali.
L'ho sempre reputato una grandissima persona». Belle parole. A cui sarebbe stato meglio far seguire un bel gesto: non salire sul podio a brindare, sbracciarsi e sorridere goduto. Quel sorriso che Vettel non è riuscito a togliergli.
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