"We have them on the ropes", li abbiamo messi alle corde. Lo aveva detto con fierezza, con tono sicuro, tirando finalmente un sospiro di sollievo, il cardinale George Pell, al termine di una lunghissima giornata fatta di riunioni e incontri riservati nel suo ufficio. «Dobbiamo garantire ciò che ci ha chiesto il Papa e cioè pulizia», era stato il suo ultimo commento prima di spegnere la luce e chiudere la porta della sua stanza.
Era il 2017, il porporato australiano, chiamato dal Papa a Roma nel 2014 a capo della potentissima Segreteria per l'Economia, aveva appena ricevuto la prova schiacciante che inchiodava definitivamente chi aveva deciso di riportare il Vaticano ai tempi di monsignor Marcinkus, con acrobazie finanziarie e pesanti situazioni di malaffare. Sulla scrivania del «ranger» era arrivata documentazione scottante, scovata dall'ufficio del revisore generale dei conti, Libero Milone: tabulati e transazioni che riconducevano ad alcuni personaggi della Curia Romana, laici ed ecclesiastici, che avevano e stavano ancora mettendo le mani sul tesoro vaticano per operazioni spregiudicate, lontane dalla trasparenza tanto invocata da Papa Francesco. La mossa successiva di Pell, sarebbe stata quella di chiedere un incontro a Bergoglio per istituire una commissione d'inchiesta sulle finanze vaticane, che facesse luce su quanto accaduto in vari ambienti della Curia, com'era già successo ai tempi del Vatileaks, quando Benedetto XVI istituì una commissione cardinalizia per indagare su quanto stava avvenendo dentro le mura leonine.
Prima di incontrare il Papa, però, c'era da catalogare tutta la documentazione e preparare una relazione dettagliatissima da mostrare a Francesco. Una copia di quelle carte, il porporato l'aveva subito inviata anche in Segreteria di Stato, per informare chi di dovere ma, a quanto pare, i documenti erano finiti anche nelle mani sbagliate, di chi insomma c'era dentro fino al collo. Poche settimane dopo, non a caso, Libero Milone si era dimesso dall'incarico, accusato di esser andato oltre le competenze previste dal suo ruolo. L'ex revisore generale si era subito difeso: «Sono stato costretto a dare le dimissioni e mi hanno impedito di parlare col Papa».
A commentare la notizia a caldo era stato l'allora Sostituto della Segreteria di Stato, il cardinale Angelo Becciu: «Milone mi spiava e spiava anche altri superiori, se non si fosse dimesso avremmo dovuto perseguirlo legalmente». Nemmeno una settimana dopo era arrivato un secondo siluro, questa volta contro George Pell: dall'Australia la notizia che il porporato era stato incriminato per gravi reati sessuali su minori, una bomba che lo aveva costretto a congedarsi per tornare nel suo Paese e difendersi dalle accuse.
A distanza di oltre tre anni, emerge quanto stava realmente accadendo, il perché, secondo le ultime carte uscite d'Oltretevere, 700mila euro furono inviati dal Vaticano in Australia: il sospetto è che alcuni esponenti della Santa Sede avrebbero fatto arrivare un lauto compenso agli accusatori di Pell, uno dei quali, nell'aprile del 2017, aveva acceso un mutuo per l'acquisto di una casa del valore di 350mila euro, stessa somma che gli sarebbe stata versata per puntare il dito contro il cardinale, in modo da tenerlo lontano dal Vaticano. Il porporato, nel 2019 è stato scagionato dall'Alta Corte australiana da ogni accusa, dopo un anno e mezzo di carcere, per scarsità di prove.
«Il ritorno a Roma di Pell non è collegato al caso Becciu e alle ultime vicende finanziarie», ha commentato alcuni giorni fa il Segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin, che ieri pomeriggio è tornato sull'argomento, parlando con i giornalisti: «Appoggiamo cordialmente le riforme, credo che la linea sia quella indicata dal Papa: correttezza e trasparenza nella gestione delle finanze».
Non è da escludere quindi che, con il porporato australiano rientrato a Roma da qualche giorno, Francesco possa adesso decidere di istituire quella famosa commissione d'inchiesta sulle finanze che avrebbe voluto il «ranger» e di coinvolgere in prima persona proprio Pell. Questa volta, magari, in veste di commissario.
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