Finanza, eleganza e pallone: così Chiara ha scalato la Mole

La 32enne bocconiana con un passato da vendoliana ha vinto perché ha intercettato la Torino delusa dal Pd

Finanza, eleganza e pallone: così Chiara ha scalato la Mole

La sua forza è l'essere sbucata dal nulla. E aver giocato al meglio, con abilità, le carte che la sorte le aveva preparato: l'appartenenza al Movimento 5 Stelle, considerato sotto la Mole l'unica alternativa all'ordine costituito, al tappo del potere, alla casta. Ma nello stesso tempo l'avere quella faccia composta, rassicurante, borghese. Un mix perfetto per chi voleva fare zapping politico, senza rompere il telecomando.

Così a soli 32 anni - meno della metà di quelli del sessantaseienne Fassino - la semisconosciuta Chiara Appendino ha fatto saltare tutte e previsioni. Prima ha costretto il sindaco uscente, che già aveva messo la bottiglia di champagne in frigo, al ballottaggio. Poi, fra il primo e il secondo turno, ha spolpato la sua dote fino a travolgerlo.

Impressionante, se si pensa che solo qualche anno fa era digiuna di banchetti e comizi, ed era stata intercettata in piazza ad ascoltare Nichii Vendola e a simpatizzare per Sel.

Un breve innamoramento, prima di scoprire l'amore della vita: Beppe Grillo. È la vigilia di Natale 2010 e la giovane si ferma col marito Marco, incontrato in un campo da tennis, davanti a un gazebo dei grillini a Porta Palazzo. Siamo in una fase pionieristica dei pentastellati e lei si propone: «Se volete vi do una mano». Anzi, secondo il Corriere della Sera, la frase viene pronunciata, causa una timidezza quasi patologica, direttamente dal marito ma poco cambia. I militanti stanno compulsando con qualche fatica un librone ostico e respingente: il bilancio del Comune di Torino. Ma lei, bocconiana con il pallino dei numeri, sa come muoversi dentro quella foresta impenetrabile.

Chiara, torinese di Moncalieri, si è laureata alla Bocconi, azzannare i conti delle partecipate è il suo mestiere. La sua tesi in finanza aziendale è un omaggio alla sua grande passione, il pallone: «Gestione dei costi in una società di calcio, la valutazione del parco giocatori». Dicono che abbia pure giocato, da terzino, fino a 25 anni, insomma fino a ieri, e nel sui curriculum spicca pure uno stage biennale, china stavolta sui bilanci della Juventus.

Ironia della sorte, nel primo faccia a faccia con Fassino, davanti alle telecamere di Sky, scivola, come pure l'avversario, davanti alla domanda più facile, quasi offensiva per una con il suo poderoso background: il numero degli scudetti vinti dalla Signora.

Pazienza. Uno scivolone può capitare a tutti, anche ai primi della classe. Entra in consiglio comunale: quella è la sua gavetta, in quel mondo porta le sue competenze e le sue relazioni. Il padre Domenico è stato a lungo dirigente di Prima industrie, l'azienda di macchinari laser creata dall'attuale leader di Confindustria Piemonte, Gianfranco Carbonato.

Suo marito è pure imprenditore, a capo di una piccola società di oggettistica casalinga. I torinesi, che scoprono la sua verve, le sue buone maniere e la sua eleganza, possono così pensare di cambiare cavallo, ma senza abbandonarsi a tentazione iconoclaste, anzi pescando da un'altra pagina dell'album di famiglia.

Il sindaco Fassino che si considera un monarca, al termine di un battibecco l'apostrofa così: «Devo ammettere consigliera che a volte la trovo insopportabile». Nei giorni scorsi, forse per lo stress da competizione cui non era più abituato, la bolla con una battuta vagamente sessista: «È un po' rigida, meglio la Raggi che è più sensuale». E però, fra un duello e l'altro, Appendino riesce a forzare la cassaforte dei voti fassiniani e detronizza il monarca che si credeva invincibile. Spiega Carlo Freccero, consigliere d'amministrazione Rai e buon conoscitore della realtà sabauda: «Fassino paga anzitutto le parole incaute del premier Renzi che ci aveva spiegato la crisi come opportunità, possibilità di cambiare e sperimentare nuove strade. Invece s'è capito che la crisi era solo una fregatura. A Torino ci sono centomila poveri, un'altra città cui l'Appendino ha dato voce. Il tutto in un clima di eccitazione e rottamazione e battaglia contro il vecchio, innescata dallo stesso Renzi e giunta a esiti paradossali. La lunga storia di Fassino diventa la sua zavorra e lo condanna alla sconfitta; lei invece vince per il solo fatto di esserci».

E non basta che Osvaldo Napoli, nelle vesti di grillo parlante, ricordi alla grillina le sue contraddizioni. E le sue incompatibilità con il ceto moderato: «Appendino è contro la Tav, la più importante infrastruttura pensata in Piemonte negli ultimi vent'anni e voluta dagli imprenditori per rivitalizzare un'economia in declino.

E sarà pure sofisticata e perbene ma in lista ha un paio di nomi che arrivano direttamente dai centri sociali e al ballottaggio si è fatta tirare la volata da Marco Travaglio». Tanto. Forse troppo in un altro contesto. Ma per ora va bene così.

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