Finisce la fuga di Massimo Riella. Preso in Montenegro dopo 4 mesi

L'uomo era evaso a marzo e si era nascosto a lungo sui monti sopra Como cibandosi di animali cacciati

Finisce la fuga di Massimo Riella. Preso in Montenegro dopo 4 mesi

È finita dopo quattro mesi la rocambolesca fuga di Massimo Riella, per tutti nell'alto lago di Como «il Petit», dal soprannome della sua famiglia. Il latitante, 48 anni, è stato catturato due giorni fa in Montenegro dalla polizia del posto. Ora attende l'estradizione.

Riella, che ha precedenti penali per spaccio, furto e bracconaggio ed era detenuto nel carcere del Bassone di Como in attesa di giudizio per una rapina a due anziani, era scappato durante un permesso il 12 marzo scorso. Accompagnato dalla polizia penitenziaria sulla tomba della madre Agnese a Brenzio, poche case inerpicate sui monti sopra il lago, era sfuggito al controllo e sparito, non ammanettato, tra i boschi. Quei boschi impervi che lui conosce come le proprie tasche e dove ha vissuto almeno nei primi mesi della latitanza mangiando ciò che cacciava. Il 48enne è conosciuto da tutti in zona e la gente nutre per lui un misto di timore, per la fama e per la faccia da bandito dei film western, e ammirazione romantica. La sua fuga si è arricchita di un'aura di leggenda sulle montagne e, pare, molti credendo nella sua dichiarata innocenza e nell'eroe perseguitato dal sistema, lo hanno aiutato dandogli cibo, vestiti e rifugio. Infatti sono scattate diverse denunce per favoreggiamento.

Come ha anticipato il Corriere, la caccia della Penitenziaria e dei carabinieri di Como, coordinati dal pm Alessandra Bellù, non si è mai fermata. Gli investigatori ritengono che Riella fosse ormai da tempo all'estero. Il tam tam della montagna dice che aveva un gruzzolo nascosto da qualche parte e che la sua destinazione finale era la Croazia. Anche grazie all'Interpol era stato segnalato alla fine di giugno prima in Montenegro, poi in Serbia e dopo di nuovo in Montenegro. L'arresto è avvenuto sabato sera nella capitale Podgorica, su Riella pendeva un mandato di cattura internazionale. A maggio l'avvocato dell'uomo evaso, Roberta Minotti, aveva riferito di averlo incontrato durante la latitanza. Il 48enne avrebbe raccontato di essere stato ferito da un agente che gli aveva sparato durante la fuga e avrebbe aperto alla possibilità di costituirsi in una struttura diversa da quella in cui era rinchiuso. Anche il padre, Domenico, aveva raccontato del ferimento. La versione deve trovare riscontri e l'intenzione di costituirsi era probabilmente solo un diversivo. Tuttavia il legale ha aggiunto di aver visto con i propri occhi la ferita da arma da fuoco durante l'incontro segreto nei boschi.

Il giorno stesso della fuga Riella si era rivolto ad alcuni amici per avere qualcosa da mangiare e i carabinieri, seguendo le tracce della figlia che lui aveva chiamato per un incontro, lo avevano mancato per un soffio. Poi l'uomo si era volatilizzato, anche se almeno il padre aveva continuato a comunicare con lui con «pizzini» lasciati in luoghi conosciuti solo da loro e a incontrarlo.

Così è nata la leggenda del Petit, fuggiasco ferito che ha beffato le autorità per quattro lunghi mesi, che viene raccontata e ingigantita da tutti sui monti e che si racconterà ancora a lungo. Ma per ora la realtà di Massimo Riella è solo la prossima prigione.

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