L'ex delfino affonda, e va a picco proprio nel suo mare. La tornata elettorale siciliana già non prometteva bene dopo gli exit poll, ma lo spoglio di ieri ha tolto ogni illusione e il risultato delle urne suona come il più malinconico dei de profundis per le ambizioni politiche di Angelino Alfano. Quid o non quid, l'ex fedelissimo del Cav rischia adeso di fare la fine di Gianfranco Fini, dopo aver - come quest'ultimo - voltato le spalle all'ex alleato Silvio Berlusconi per fondare un proprio movimento politico.
Se per l'ex leader di An dopo lo strappo con il Pdl proprio le elezioni siciliane del 2012 furono l'anticamera della scomparsa dalla scena politica (poi consumata col tracollo alle politiche dell'anno successivo), il pur malinconico 4,4 per cento raccolto da Futuro e Libertà nel 2012 - nella coalizione che sosteneva la candidatura di Gianfranco Micciché - «pesava» comunque di più rispetto al magrissimo bottino di Angelino e di Alternativa Popolare, che fin dallo spoglio delle prime sezioni non si è mai nemmeno avvicinato al 5 per cento, assestandosi appena sopra il 4, circa un punto più sotto rispetto alla soglia di sbarramento.
Così, proprio in quello che dovrebbe essere il suo feudo elettorale, Alfano si è accorto di aver perduto la dote, e di poter contare anche giocando in casa non su una ricca riserva di caccia ma su un consenso risibile. Ap, infatti, oltre a restare fuori da Palazzo dei Normanni, è il terzultimo partito dell'Isola per voti raccolti nelle urne sui dodici che si sono presentati. Peggio degli Alfano boys hanno fatto solo gli alleati nella coalizione di centrosinistra di «Arcipelago Sicilia - Movimento dei territori» e gli indipendentisti del «Movimento siciliani liberi». In altre parole, un tracollo imbarazzante. Che, come primo effetto, potrebbe accelerare la scissione interna dai «lombardi», guidati dal coordinatore del partito, Maurizio Lupi, e già da tempo insofferenti. Anche perché mentre Alfano affonda con i suoi, il centrodestra unito, invece, si riscopre vincente, portando tutte le liste della coalizione oltre la soglia di sbarramento.
Insomma, il bluff di Alfano è stato scoperto, ed è un bel problema per il ministro degli Esteri, negli ultimi anni capace di assicurarsi un dicastero a ogni nuovo governo, forte dei suoi numeri in Parlamento e pur non potendo contare sul riscontro delle urne. Già i pochi test elettorali erano stati deludenti, ma adesso, dopo il clamoroso flop in terra sicula, l'ex delfino non ha più carte da giocare nemmeno per regolare i suoi affari interni, una beffa per chi ha occupato a lungo la poltrona di titolare del Viminale.
Ma i numeri non sono opinabili, semmai impietosi. Nelle nove circoscrizioni dell'Isola, Ap ha superato il 5 per cento solo a casa di Angelino, ad Agrigento (8 per cento, comunque dietro al Pd), e a Siracusa (8,6), rimanendo addirittura sotto il 2 per cento a Trapani (1%), Caltanissetta (1,8), Ragusa (1,2) ed Enna: in quest'ultima provincia il partito centrista si è fermato all'1 per cento, raggranellando appena 647 voti, per distacco l'ultima lista della coalizione quanto a consensi.
Difficile, con questi numeri, che Alfano possa proseguire nelle sue acrobatiche avventure politiche, che gli hanno permesso di restare al governo nonostante i non certo brillanti risultati raccolti da Ncd prima, da Ap e da Alternativa Popolare poi.
Persino gli ex alleati dell'Udc, con i quali si era consumata la separazione un anno fa sull'altare del referendum costituzionale, quando Angelino ha scelto di restare al fianco di Renzi mentre Cesa ha sposato la causa del «no», hanno raccolto decisamente più consensi, superando agevolmente la soglia del 5 per cento e risultando, tra l'altro, decisivi per l'affermazione di Musumeci e della coalizione di centrodestra. La corsa in solitaria di Angelino, forse, finisce qui.
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