Neanche la quattro braccia della dea Kali riuscirebbero a imbrigliare l'Italia più di quanto già riesca al bifronte governo indiano. Che a parole, un giorno, si mostra disponibile a cercare un «canale di confronto» per risolvere la spinosa questione dei marò, ma nei fatti continua nel suo atteggiamento di chiusura. Per non dire di ostilità. Come lo scorso 16 dicembre quando, attraverso il giudici della Corte Suprema, vennero respinte le istanze dei due fucilieri (uno chiedeva un prolungamento del suo permesso in Italia per cure mediche, l'altro di poter trascorrere a casa una «licenza» di tre mesi). O come l'altro giorno, quando il ministero degli Interni, ha apertamente dichiarato che Salvatore Girone è di fatto un ostaggio di New Delhi.
Le rimostranze prenatalizie del presidente Napolitano a poco sono servite. E nemmeno il bluff del ritiro del nostro ambasciatore, richiamato due settimane fa per consultazioni. Daniele Mancini, è tornato nella capitale indiana, quando ormai manca appena una settimana al fatidico giorno deciso dalla Corte per il rientro in India di Latorre. Scadenza difficile da rispettare viste le condizioni di salute del militare. Si ricomincia dunque con le armi della diplomazia e dell'arbitrato internazionale? Finora sono state usate in modo inefficace. Quanto accadde nel marzo 2013, quando l'allora ministro Giulio Terzi cercò di non far ripartire verso la prigionia i due marò in «permesso» in Italia, non è poi buon viatico. L'India, sfidando ogni legge- a partire dalla Convenzione di Vienna- rispose «sequestrando» proprio il nostro ambasciatore.
A Daniele Mancini fu tolta dai giudici l'immunità diplomatica. Con annesso divieto di uscire dal Paese senza il consenso della Corte. Insomma lui ostaggio e i nostri due marò «merce» di riscatto. Il governo di Narendra Modi, premier capace di inventarsi un ministero per lo Yoga, ci tiene ancora in scacco. Matto. Alla faccia di Matteo.
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