La fiche che dovrà essere messa sul tavolo della Banca Popolare di Bari aggiunge un altro miliardo agli oltre dieci che sono già costati allo Stato per i salvataggi bancari. È solo l'ultima operazione passata sul tavolo di Bankitalia, che da anni ha acceso i riflettori sull'istituto pugliese ma che nel 2014 ha anche autorizzato l'acquisizione della concorrente abruzzese Tercas, la Cassa di Risparmio di Teramo in difficoltà. Che ha avuto l'effetto di scaricare sul compratore, ovvero la Popolare di Bari, una zavorra di sofferenze difficile da smaltire. Non solo. La Bari è stata accusata da Bruxelles di aver ricevuto 265 milioni di aiuti di Stato, illegittimi, sotto forma di ricapitalizzazione di Tercas ante cessione. È partita una guerra di ricorsi e la questione è approdata alla Corte di Giustizia europea, che si pronuncerà nel 2020.
Ora il decreto messo a punto dal governo giallorosso prevede l'attribuzione di fondi fino appunto a un miliardo ad Invitalia (ovvero l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, di proprietà del Ministero dell'Economia), che li girerà alla sua controllata Mediocredito Centrale. Sarà quest'ultima, poi, a entrare nel capitale della Popolare: un ingresso azionario che sarà affiancato dal ricorso allo strumento privato finanziato dal sistema bancario, cioè dal Fondo Interbancario.
Per il resto, ecco un altro obolo pubblico destinato a far salire il conto già salato dei salvataggi di Stato: più di 10 miliardi negli ultimi quattro anni che, secondo i calcoli dell'Osservatorio dell'Università Cattolica di Milano, potrebbero lievitare a oltre 15-20 miliardi. Dipenderà dai futuri rientri di investimenti in Mps e nei crediti in mora delle banche venete.
Nel caso del «Monte di Stato», a fine 2016 il governo Gentiloni è stato costretto a correre in salvataggio del Monte con 5,4 miliardi (di cui 1,5 miliardi di rimborso agli obbligazionisti). Il Tesoro, dopo la ricapitalizzazione eseguita a luglio 2017, è così diventato l'azionista di maggioranza di Mps con quasi il 70%, quota che dovrà dismettere entro il 2021. L'operazione è stata finanziata attingendo a un fondo di 20 miliardi, di cui circa 3,9 sono stati spesi per la ricapitalizzazione. Azionisti e obbligazionisti hanno da parte loro contribuito per altri 2,8 miliardi, secondo il principio della condivisione degli oneri previsto dalla normativa dell'Ue. A pagare sono stati quindi sia i contribuenti sia i privati. Ai corsi attuali lo Stato perde oltre 4,5 miliardi sui 5,4 versati due anni fa per salvare Rocca Salimbeni. L'obiettivo era quello di scendere dal Monte in fretta e senza farsi troppo male ma di cavalieri all'orizzonte ancora non se ne vedono e anche la soluzione studiata al momento dai tecnici di via XX Settembre sembra complicare la exit strategy perché contempla l'ipotesi di scindere i crediti deteriorati, girandoli ad Amco, la ex Sga al 100% del Tesoro, a un prezzo più vicino al valore di carico del bilancio Mps che a quelli di mercato. Insomma un altro «aiutino».
Quanto alle ex cooperative venete, nel 2017 Intesa Sanpaolo ha acquisito alla cifra simbolica di 1 euro Popolare Vicenza e Veneto Banca dopo la liquidazione coatta amministrativa. Intesa ha ereditato principalmente le attività sane. I crediti deteriorati sono stati invece trasferiti a una bad bank.
L'intervento per cassa dello Stato è stato pari a circa 4,8 miliardi, cui vanno aggiunti circa 400 milioni di garanzie, a fronte di un capitale garantito di 12,4 miliardi (la spesa sarà bilanciata dal valore dei crediti recuperati dalla Sga, la società per la gestione delle di attività controllata totalmente dal Tesoro).
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