«Introdurre il salario minimo significa indebolire la contrattazione collettiva e quindi creare le condizioni per un futuro di povertà diffusa». Parole di Susanna Camusso, all'epoca leader della Cgil. L'ipotesi di un salario minimo era addirittura vista come un'invasione di campo, «non c'è nessuna ragione al mondo che giustifichi l'intervento del governo sulle regole contrattuali», sempre Camusso, ora senatrice Pd. In effetti, lo stesso concetto è stato ribadito per anni dai tre principali sindacati, «fortemente preoccupati - scrivevano in una nota Cgil, Cisl e Uil - da probabili effetti collaterali pericolosi che l'introduzione del salario minimo, diverso da quanto predisposto dai contratti nazionali, rischia di comportare». Una posizione sostenuta con la solita passione, fino a poco tempo fa, anche da Maurizio Landini, per il quale non deve essere una legge a stabilire il giusto salario, perchè «sono le parti sociali a farlo quando rinnovano i contratti nazionali», dichiarava nel 2019 intervistato dal Fatto, a cui spiegava che la questione non era affatto una priorità per la Cgil. Lo stesso Landini che a Roma l'altro giorno ha aizzato invece la piazza («È ora di introdurre un salario orario minimo sotto il quale nessuno deve essere pagato») contro il governo e contro il Cnel, a cui l'esecutivo avrebbe «subappaltato» l'affossamento della proposta dei 9 euro l'ora.
Cosa è cambiato? Nulla, in realtà, nelle posizioni dei sindacati, che difendono il loro core business, cioè la contrattazione collettiva, che sarebbe indebolita da un salario minimo di legge per tutti. Quello che è cambiato è il calcolo politico, specie della Cgil, la sigla da sempre vicina al Pd. Il sindacato ha scelto una bandierina da sventolare nelle piazze, quella del salario minimo, sapendo bene che la proposta di legge depositata alla Camera da Pd, M5S, Alleanza Verdi-Sinistra e +Europa non ha alcuna possibilità di passare. Uno strumento utile per fare asse con l'opposizione e ritagliarsi uno spazio politico, quindi, senza correre il rischio che diventi realtà. Visto che per i sindacati un minimo salariale fissato per legge è sempre stato come il fumo negli occhi.
La conversione opportunistica colpisce nella Cgil, ma riguarda anche altri (la Cisl invece è rimasta coerente). Per Pierpaolo Bombardieri, segretario Uil, adesso «il salario minimo serve in questo Paese, il Cnel sbaglia». Ma ha sempre detto il contrario, «la strada che condividiamo è il rafforzamento della contrattazione collettiva, noi preferiamo che siano i minimi contrattuali ad essere identificati come salario minimo, perchè in molti casi sono più alti» sosteneva Bombardieri solo un anno fa. Una posizione, tra l'altro, molto simile a quella del governo Meloni e del Cnel (proprio oggi alle 15 è in programma la conferenza stampa del presidente Cnel Renato Brunetta per illustrare il documento finale sul lavoro povero e il salario minimo). Nella scorsa legislatura si è discusso di salario minimo, e nelle audizioni i sindacati si sono sempre schierati contro, per molte ragioni, tra cui il rischio di ottenere l'effetto contrario, «favorire una fuoriuscita dall'applicazione dei Ccnl rivelandosi così uno strumento per abbassare salari e tutele».
Ma non è solo il sindacato ad aver sposato una battaglia in cui non ha mai creduto. «L'introduzione del salario minimo indebolisce i lavoratori, non li rafforza», parola (nel 2021) di Andrea Orlando, ex ministro Pd e grande supporter della mozione Schlein.
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