Fisco, migranti e sovranismo: il Pd fissa i paletti "anti Lega"

Altro che collaborazione: il programma dem Draghi mira a sabotare l'alleanza. La resa dei conti interna

Fisco, migranti e sovranismo: il Pd fissa i paletti "anti Lega"

Responsabili o i(r)responsabili? Bel dilemma quello che rischia di spaccare il Pd, alle prese con la grana sorta dopo la disfatta nel braccio di ferro per il Conte Ter. Saltato l'accordo per salvare il terzo esecutivo guidato da «Giuseppi», Zingaretti e la componente di sinistra dei dem non hanno nemmeno avuto il tempo di sparare ad alzo zero contro Renzi e Italia Viva per preparare il campo all'ipotesi urne, chiarendo alla plebe chi è stato il «cattivo» - che ecco Mattarella tirare fuori dal cilindro Mario Draghi. E sì che quella di Supermario non è stata esattamente una sorpresa, fatto sta che la prospettiva di doversi mostrare responsabili, accomodandosi in una maggioranza così allargata da accogliere il detestato leader leghista Matteo Salvini, ha chiuso lo stomaco a buona parte della sinistra Pd, Zingaretti compreso, spingendo i vertici del partito, fallita la exit strategy dalla crisi affidata al consigliere del segretario, Goffredo Bettini, a studiare nuove tattiche. Stavolta per sabotare il varo del governo allargato alla Lega. «Raccogliamo l'appello di Mattarella, sosteniamo il governo Draghi, non facciamo un governo con la Lega», riassume il tesoriere dem Walter Verini, ribadendo con Zingaretti che «siamo con Draghi con le nostre idee». E infatti la bozza di programma che il Pd sottoporrà oggi a Draghi è disseminata di «trappole» antilega: c'è la riforma fiscale «ad aliquote continue», per tagliare le gambe alla flat tax. Ci sono i riferimenti alla necessità di contrastare il «sovranismo». E sull'immigrazione si cita proprio Salvini, col Pd che ricorda di aver voluto, entrando nel governo giallo-rosso, modificare i decreti «disumani e insicuri» voluti «dall'allora ministro dell'Interno Salvini». Insomma, alla faccia dell'invito di Mattarella, più che un programma è una richiesta di resa incondizionata alle «loro idee», destinatario il Carroccio.

Il problema è che non tutti, nel Pd, appoggiano il perdente - patto di ferro dei vertici con M5s e Conte. La consistente componente non ostile a Renzi chiede un cambio di rotta e al timone, reclama il congresso. Tanto che Bettini, ieri, si è affrettato a smentire le pesanti critiche al Renzi «sicario» per conto di «poteri forti» da lui confidate al Fatto quotidiano. Proprio Bettini, in fondo, è indicato dall'ex spin doctor dalemiano Claudio Velardi (intervistato da Qn) come il regista di tutte le scelte (sbagliate) dei dem post-renziani, uno stratega «non eletto» e «senza alcun titolo» dietro la cui schiena per Velardi «si intravede l'ombra» proprio del Lìder Massimo. Lo stesso Zingaretti domenica a Mezz'ora in più ha aperto a «una discussione politica vera sull'identità, i contorni, il nostro profilo culturale» da avviare nel Pd appena varato il governo. Per i suoi avversari vuol dire anticipare il congresso, mettere in discussione la leadership due anni prima della sua scadenza, e magari riaprire le porte del partito ai renziani. Per i fedelissimi di Zinga, invece, l'invito è solo a discutere insieme la prospettiva politica del Pd, non a contestarne il timoniere. Il contrasto è stridente.

E all'imbarazzo per la convivenza al governo che verrà con la Lega antipode alle «loro idee», presto, potrebbe sostituirsi l'imbarazzo di un'altra convivenza. Quella, tutta interna al Pd, di troppe anime, forse anche queste tra loro inconciliabili.

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