«Non siamo mai andati così male e non c'è neanche un posto dove dirlo», osserva Luigi Di Maio. «Le lezioni di democrazia interna da Di Maio fanno sorridere», replica Giuseppe Conte. Finita la tregua armata, i due avversari ricominciano a darsele di santa ragione. Dopo una giornata di silenzio - nessun commento sulla vittoria di Conte al Tribunale di Napoli - è Di Maio a riprendere il filo di un duello pubblico che aveva avuto il suo picco di tensione durante le ultime battute dell'elezione del Quirinale con l'impallinamento di Elisabetta Belloni. Il ministro degli Esteri convoca un punto stampa senza farlo precedere da squilli di tromba e sotto il sole di Roma picchia sull'avvocato di Volturara Appula.
E allora è vero, come dice Conte, che «noi non abbiamo mai brillato alle amministrative», ma è anche vero che «non siamo mai andati così male», sferra il primo colpo l'ex capo politico. Che assesta una staffilata dopo l'altra: «Questo succede quando l'elettorato è disorientato, non è ben consapevole di quale sia la visione». Non è colpa dei compari e dei cugini che vengono a casa a prendere il caffè, come spiegato da Conte nell'ultima conferenza stampa, il problema è di linea politica. Come, ad esempio, sulla politica estera. Il titolare della Farnesina bombarda Conte sulla collocazione internazionale dell'Italia: «Non possiamo stare nel governo e poi un giorno sì e un giorno no, per imitare Salvini, si attacca il governo». Nessuna ambiguità su Nato e Ue: «Non credo che sia opportuno assumere decisioni che di fatto disallineano l'Italia dall'alleanza Nato e dell'alleanza europea». E ancora: «L'Italia non è un Paese neutrale».
Quindi Di Maio passa alle questioni interne. Auspica un «grande sforzo di democrazia interna, più dibattito e includere più persone esterne al M5s». Di Maio attacca Conte, che aveva attribuito le difficoltà del M5s anche a «resistenze interne» sul Quirinale: «Non si può dare sempre la colpa agli altri, risalendo addirittura all'elezione del presidente della Repubblica». Poi un'altra bordata: «Lo dico a voi perché non esiste un altro posto dove poterlo dire». Si fanno sentire alcuni parlamentari vicini al ministro. «Sulla politica estera non si scherza per fare campagna elettorale», dice il deputato Sergio Battelli. «Nessuno ha voglia di fare una scissione, ma serve una svolta», spiega il senatore Primo Di Nicola all'Adnkronos. Infatti per tutto il pomeriggio, in ambienti contiani, girano voci sulla possibilità che Di Maio fondi un altro partito. Le smentite non sono perentorie. «Per me sarebbe pesante uscire dal M5s, ma non dobbiamo diventare il partito di Conte», insiste Battelli con Il Giornale.
Conte, che ha convocato per mercoledì l'assemblea congiunta di deputati e senatori, risponde: «Se Di Maio vuole fare un altro partito ce lo dirà lui». L'ex premier punta il ministro degli Esteri: «Le lezioni di democrazia interna da Di Maio fanno sorridere, perché con lui leader c'era un solo organo, il capo politico, ora invece può venire a parlare al Consiglio nazionale». Conte ribalta le accuse: «Il mio telefono non è mai squillato». E allontana le tentazioni anti-atlantiste: «Stupidaggini, non ho mai messo in discussione la collocazione atlantica ed europeista del M5s». L'avvocato provoca il rivale sui due mandati, «motivo di fibrillazione perché riguarda le sorti personali di tantissime persone, si pronunceranno tutti gli iscritti».
Ma chi è vicino a Di Maio si arrovella sul divieto di costituire correnti imposto dal leader del M5s. «Conte non vuole correnti perché non tollera il dissenso, questo atteggiamento gli è stato trasmesso da Casalino», si sfoga a taccuini chiusi un altro parlamentare fedele all'ex capo politico.
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