Il folle reality a 5 Stelle dove tutti i miracolati si sentono nuovi leader

Il reggente Crimi fa lo statista, la ruspante Taverna sogna la guida e Dibba scalpita

Il folle reality a 5 Stelle dove tutti i miracolati si sentono nuovi leader

Il loro leader si dimette ma rimane in campo, il reggente non vuole reggere ma dirigere, per non parlare dello sfidante del leader che però è in ferie.

È vero che nessun partito è immune dal ridicolo, ma il M5s è l'istituto più prossimo al manicomio. Sottovalutandoli ancora, si era creduto che il punto di non ritorno fosse stato toccato con la «traslazione» della cravatta di Luigi Di Maio, la consegna della reliquia che da ieri è sotto teca, conservata presso gli uffici della comunicazione 5s, come il dente di Sant'Apollonia, il dito di Galileo, i capelli di Beethoven. Non si poteva che essere preoccupati per queste manifestazioni di idolatria, ma non si è potuto che trasecolare dopo aver letto l'intervista che Vito Crimi ha rilasciato, in veste di capo di Stato, al Corriere della Sera.

Chiamato non per sostituire Di Maio, ma per incassare gli schiaffi che non vuole più ricevere, ha dichiarato prima di sentirsi «capo politico», poi di non mettere limiti al suo mandato e alla fine ha pure chiesto pieni poteri: «Ho tutti i poteri previsto dallo Statuto». E a ogni domanda rispondeva con la stessa sicurezza che Bettino Craxi ha mostrato a Sigonella, mentre quando parlava del suo stato d'animo sembrava il cardinale che sale al soglio pontificio: «È una sfida, sento una grossa responsabilità». Come il nobile di Pirandello che sguaina la spada di legno, ormai si è convinto di essere Enrico IV. È ovvio che dopo queste dichiarazioni tutto poteva essere possibile. Poiché all'assurdo segue sempre l'impensabile, il reality si può dire davvero iniziato con l'idea (sempre più concreta) di indicare Paola Taverna, irraggiungibile signora di buone maniere («Ma và a morì ammazzato; sò dei cacasotto; ce stanno a pijà per culo») come leader del movimento. Lo scriviamo adesso: in futuro potremmo vederla sorseggiare il tè con la regina Elisabetta.

Che non era uno scherzo e che una parte del M5s stia davvero riflettendo sull'opportunità di proporla alla guida, è stato confermato dall'indiscrezione che a sfidarla sia Chiara Appendino, sindaco di Torino. Incapace di tenere unita la sua giunta (i suoi fuoriusciti sono ormai più numerosi dei parlamentari del gruppo misto), secondo Di Maio sarebbe la figura adatta a incollare quello che lui ha contribuito a rompere. Deve essere sembrato troppo perfino alla Appendino se nel pomeriggio ha rassicurato tutti: «Non ho novità. Continuerò ad occuparmi di Torino». La cosa migliore che si può sperare è che se ne occupi al contrario di quanto sta facendo Beppe Grillo in queste ore.

Di fronte alla sciagura del movimento che ha fondato e che ha portato al governo di un paese che siede al G8, ha inserito sul suo blog articoli che hanno questi titoli: «Le case sulla Luna e su Marte»; «Pagare con la mano»; «La prima cripto-city dell'Africa». Per salutare l'ex capo politico ha utilizzato meno parole di quelle usate da un ufficio del personale: «Grazie Luigi per come hai gestito la situazione, per quello che hai fatto per il M5s e per quello che continuerai a fare».

E poi c'è chi non si interroga su cosa può fare lui per il movimento, ma cosa il movimento può fare per lui. Come ha ricordato Nicola Biondo, ex responsabile della Camera del M5s, l'unico sfidante di Di Maio, Alessandro Di Battista, è apprezzato non per il suo carisma, ma per la sua concretezza.

In passato, presentandosi di fronte ai suoi ex compagni, al ritorno da altre ferie, aveva detto: «Io devo fare qualcosa. Trovatemi un incarico». Ha ragione Alfonso Bonafede quando dice non preoccuparci perché «non ci sono innocenti in carcere». Il vero allarme è che ci sono ancora 5s a piede libero.

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